Il grande sogno di Kirill un Carlo Magno d’Oriente
Intervista a Enzo Bianchi, a cura di Cesare Martinetti, La Stampa 3 aprile 2022
La seconda guerra ucraina, consustanziale e parallela a quella che si volge sul campo, è una feroce guerra tra Chiese che credono nello stesso Dio.
Il patriarca Kirill di Mosca, appoggiando con passione la guerra, ha offerto a Vladimir Putin una copertura teologica difficile da capire in Occidente. Enzo Bianchi, fondatore della comunità di Bose, è stato protagonista del dialogo tra i cattolici e l’Oriente, fin dagli Anni 70, quando Kirill venne per la prima volta a Bose.
Si sarebbe mai immaginato che quel giovane e brillante prete ortodosso sarebbe salito sui carri armati di Putin in guerra contro cristiani ucraini?
«Sono stato sorpreso. Io l’ho conosciuto bene. L’ho incontrato la prima volta alla fine degli Anni 70, quando accompagnava il metropolita Nicodim. Poi è venuto ancora ai convegni ecumenici di Bose: lo ricordo molto convinto e attivo nel dialogo ecumenico, un uomo aperto che conosceva bene l’Occidente. Successivamente l’ho incontrato a Mosca nel 2004, quando sono stato inviato da papa Wojtyla in delegazione con il cardinale Kasper per restituire l’icona trafugata della Madonna di Kazan. Ci fu una straordinaria accoglienza nella splendida cattedrale di Cristo Salvatore».
E come spiega la sua adesione alla guerra?
«Mi ha sorpreso perché lo si pensava determinato nel mantenere vivo lo spirito ecumenico soprattutto dopo l’incontro a Cuba con Francesco in cui – dobbiamo dirlo – il Papa si è umiliato, accettando di vederlo quasi di sfuggita in una sala d’aeroporto. Ma non dimentichiamo che gli ortodossi sono diffidenti verso il Papato e come Chiese si sentono sorelle deboli di fronte alla sorella forte, la Chiesa cattolica, molto organizzata e presente in tutto il mondo».
Però nei sermoni di Kirill c’è qualcosa di più: ha dato una giustificazione teologica alla guerra di Putin. Perché?
«Tutto quello che dibattiamo in Occidente grazie alla nostra modernità arriva agli ortodossi russi in un cono d’ombra che è quello occidentale-americano e cioè del grande e storico nemico. Per molto tempo, per loro, l’ecumenismo è stato un prodotto dell’Occidente, che veniva dalla pluralità delle confessioni, dalla tolleranza, realtà per loro sconosciute. Ciò che per loro è lotta metafisica tra il bene e il male ed è manifestazione dell’Anticristo, per noi è un’acquisizione dei diritti civili (ad esempio nei confronti degli omosessuali). D’altronde, noi cattolici eravamo sulle loro posizioni 50 anni fa, né più né meno. E sono convinto che una parte della Chiesa cattolica la pensi ancora così. Solo, non si ha più il coraggio di dirlo pubblicamente».
E come ha reagito la Chiesa ucraina alla crociata di Kirill?
«Intanto va detto che in Ucraina ci sono quattro Chiese cristiane: una ortodossa in comunione con Mosca, altre due ortodosse, una in comunione con Costantinopoli, l’altra patriarcale autocefala, e infine una cattolica uniate, cioè di rito bizantino. Solo il patriarca Onufri, metropolita della Chiesa ucraina in comunione con Mosca, ha espresso una posizione sapiente, invitando i fedeli a difendere la patria ucraina ma non odiare il popolo russo. Al contrario, le gerarchie delle altre Chiese hanno risposto benedicendo le armi, invitando i combattenti a schiacciare il nemico e a maledire il patriarca Kirill. Siamo nel pieno di una guerra di religioni, altro che ecumenismo!».
A sentir questi racconti, sembra di tornare indietro di secoli. Com’è possibile?
«Per capirlo bisogna ripassare un po’ la storia ed è quello che manca nel dibattito su Kirill. Le Chiese ortodosse non sono nostre contemporanee: hanno vissuto sotto il regime sovietico o sotto l’impero ottomano e questo ha impedito loro l’accesso alla modernità. È mancato quello che per noi ha rappresentato l’Illuminismo e la Rivoluzione francese. Alla caduta del comunismo la Russia è stata invasa da missionari polacchi e da organizzazioni cattoliche occidentali che facevano proselitismo. Gli ortodossi hanno reagito difendendo il loro territorio “canonico”, un concetto sconosciuto a noi cattolici».
E dopo la rivoluzione ucraina cos’è successo?
«Alcune volte, preti russi sono stati attaccati, le chiese sono state chiuse, i religiosi perseguitati e, anche ultimamente, il Parlamento ucraino ha approvato delle leggi persecutorie nei confronti degli ortodossi in comunione con Mosca. In verità, in Ucraina c’era tutto un humus di guerra di religione, ma nessuno ci badava. E poi questa guerra vergognosa è stata preparata: ho molti contatti con religiosi russi e ucraini che mi raccontavano che da mesi dalla Polonia entravano in Ucraina colonne di carri armati e carri con i missili».
Ma Putin cos’ha fatto per meritarsi una «sinfonia» così entusiasta da parte di Kirill?
«Putin negli anni è diventato il grande protettore della Chiesa russa, ovunque nel mondo. È come un Carlo Magno d’Oriente. Dice di essere cristiano, non manca mai ai riti. Sostiene e finanzia la ricostruzione delle chiese ortodosse in Medio Oriente, ricostruisce quelle distrutte dalla guerra in Siria; a Gerusalemme ha finanziato enormi lavori, e sul monte Athos in Grecia ha restaurato il grande monastero di Panteleimon, in rovina fin dagli Anni 20. Tutto questo fa sì che la Chiesa si sia piegata a lui. E ci sono vescovi ancora più patriottici di Kirill, come il metropolita Tikhon, padre spirituale di Putin e – si dice – possibile prossimo patriarca».
Perché la religione è così importante in quei Paesi?
«Perché fa parte dell’identità, come in Polonia e in Ungheria. L’unico Paese in cui non conta più nulla è la Bulgaria, perché il comunismo è riuscito a fare un deserto».
Una religiosità che sopravvive in un mondo dove le cose si risolvono con la guerra e dove le manifestazioni della fede sono fisiche, le code anche nella nuovissima cattedrale di Mosca per il bacio delle reliquie. È spiritualità o superstizione?
«È l’Oriente, dove la fede non è solo un fenomeno intellettuale. Noi abbiamo inventato la formula della “fede pensata”, non solo matura e profonda, ma che si dà delle ragioni attraverso il pensiero. In Oriente non hanno questa dimensione, per loro la fede ha una profondità spirituale che coinvolge tutta la persona. Non sono capaci della preghiera mentale. Pregano con il corpo, si genuflettono, si segnano in continuazione, hanno bisogno di baciare le icone e nelle chiese non ci sono sedie, perché bisogna pregare in uno stato di vigilanza fisica. I loro santi parlano con gli orsi, con gli alberi e con la natura».
Incomprensibile per noi?
«Sì. La religione senza l’uso della ragione diventa facilmente magìa o fanatismo. Lo diceva Benedetto XVI: l’Illuminismo è stato un grande dono perché, dando il primato alla ragione, ha liberato la religione dal fanatismo e dalla magia».
Qual è la sua ragione di speranza?
«Io sono amico del metropolita Ilarione, il numero due del Patriarcato, incaricato di tenere i rapporti con le Chiese estere e vicinissimo al patriarca. È un monaco spirituale e intellettuale raffinatissimo, è venuto a Bose, abbiamo fatto viaggi ecumenici insieme, e nella mia casa editrice ho pubblicato i suoi libri. Lui in questo momento è silente, e questo significa che non tutta la Chiesa è pienamente d’accordo con Kirill. Confido che, prima o poi, Ilarione faccia sentire la sua voce, che è certamente una voce ecumenica e di pace».