Il disagio giovanile e il vuoto adulto. Generazioni senza padri

Editoriale di Claudio Burgio su Avvenire “C’è un bene presentato nella forma di una narrazione troppo retorica e formale. Un bene scarsamente rintracciabile nelle scelte degli adulti; un bene convenzionale, ma poco convincente che, pertanto, viene inscritto dagli adolescenti nel registro dell’ovvietà.”

Fonte: Avvenire, di Claudio Burgio, domenica 6 febbraio 2022

L’emergenza è la molla della storia perché porta alla luce l’inguardabile, ciò che non si ha il coraggio di affrontare, e offre una prospettiva nuova della realtà. Per questo motivo, l’emergenza educativa di cui si parla da anni e che in queste settimane sembra avere lasciato spazio a uno scenario di esplosività terrificante, non deve essere spiegata dalla banalità di un giudizio superficiale e sommario, ma ascoltata attraverso un itinerario interpretativo che ne indaghi le ragioni più profonde. I fatti che hanno per protagonisti gli adolescenti sono segnali preoccupanti di un disagio non più attribuibile a categorie circoscritte come le «seconde generazioni» o «quelli delle periferie urbane».

Dal mio osservatorio (cappellano nel carcere minorile Beccaria e comunità Kayros di Milano) noto che il fenomeno della devianza giovanile è sempre più trasversale, non necessariamente legato a contesti svantaggiati o a quadri familiari particolarmente disfunzionali. A rendersi responsabili di condotte criminali sono anche figli di famiglie non problematiche appartenenti a strati benestanti della popolazione.

Insomma: chi voglia spiegare certi episodi con la retorica dello ‘straniero pericoloso’ si trova presto smentito dall’oggettività delle indagini (almeno non quelle dei ‘social’). Non è un fattore meramente etnico-culturale a determinare tali condotte, quanto piuttosto una povertà educativa sempre più estesa e pervasiva. Italiani e stranieri, periferie e centro sono categorie che non vanno alla radice del disagio. Nemmeno la pandemia costituisce l’unica spiegazione possibile. Il Covid – pur con tutto il carico di incertezze, chiusure e sofferenze psichiche che comporta – ha solo accelerato fenomeni di trasgressione giovanile già in atto.

Ovunque si parla impropriamente di ‘baby gang’: se fossero davvero associazioni strutturate con chiare gerarchie interne, sapremmo come affrontarle. In realtà, le violenze e i reati messi in atto sono spesso attribuibili ad aggregazioni spontanee di giovani e giovanissimi che a malapena si conoscono sui social. Questo sconcerta ancora di più perché si tratta di gruppi fluidi nei quali prevale l’incoscienza del branco.

Eppure, un reato in adolescenza – per quanto consumato il più delle volte in gruppo – è espressione della solitudine esistenziale, dell’insostenibilità di un rapporto significativo con la comunità di appartenenza e di uno spaesamento identitario che costringe l’adolescente a ripiegarsi dentro un mondo sprovvisto di senso e di prospettiva.

La storia della recente scena Trap rappresentata da Baby Gang, Rondo, Neima, Sacky, Simba La Rue (tutti giovani conosciuti personalmente al Beccaria o in comunità Kayros) non è soltanto… [continua a leggere]