Don Bosco Borgomanero, News

L’urna che lascia la… scia

Cari genitori e amici,

mi viene da pensare sempre più spesso quanto sia facile abituarsi praticamente a tutto. Abituarsi anche allo stupore: sembra impossibile, ma succede. Scrivo un brano lungo: se vi accingete a leggerlo, leggetelo tutto però! Al massimo, prima di dormire, può servire.

news-vita-da-prof-urna-borgomaneroÈ terminato un paio di mesi fa il pellegrinaggio dell’urna di don Bosco “in casa sua”, nelle diocesi del Piemonte e della Valle d’Aosta. Nell’occasione, l’evento “Don Bosco è Qui!” ha ricevuto il battesimo proprio a Borgomanero, consegnato dall’ispettoria veneta. Chissà a quanti di voi, dei vostri ragazzi, è capitato di poterlo incontrare e che cosa è rimasto ancora adesso nel cuore? Personalmente, mi è successo di “incrociare” l’urna più volte in più luoghi, e alcuni sentimenti e pensieri hanno preso una certa consistenza: vorrei condividerli ancora una volta. Mi piace pensarli sulla scia lasciata dall’urna, una scia luminosa. Ed inizierei dalla fine…

La vita di don Bosco si avvia al compimento inquadrata dalla diagnosi di un medico, che un giorno gli disse: “Lei è come un abito molto logoro. È stato indossato i giorni feriali e i giorni festivi. Per conservarlo ancora, l’unico mezzo è metterlo in guardaroba. Le consiglio il riposo assoluto” (Dott. Combal, a Marsiglia, nel 1883). Parole alle quali il Santo rispondeva: “La ringrazio, dottore, ma è l’unica medicina che non posso prendere”. Don Bosco ha scelto così, di lasciarsi consumare dall’amore. Non dall’attivismo, non dal protagonismo… semplicemente dal desiderio di compiere la volontà di Dio… e Lui non chiede tanto, chiede tutto! Per provvedere ai bisogni dei ragazzi che Dio gli ha affidato, non si è risparmiato: ha pregato e fatto pregare, ha viaggiato, scritto, domandato, si è umiliato, si è letteralmente trascinato innanzi a chiunque potesse collaborare.
Mi viene da pensare sempre più spesso quanto sia facile abituarsi praticamente a tutto.

Troppo facile notare come noi oggi, più che lasciarci consumare il cuore, preferiamo consumare cose e persone. Noi compriamo cose che ci rallegrano, semmai per un momento, e siamo poi costretti a cercarne ancora, e ancora: ci sono ragazzi che danneggiano apposta il proprio cellulare per avere il “diritto” ad un nuovo modello… Se vogliamo, possiamo dire che preferiamo lasciarci consumare dalle cose.

Don Bosco, invece, non ha fornito cose – al di là del minimo indispensabile, di più non c’era –, bensì paternità e maternità: in pratica, una famiglia. Era tutta la sua ricchezza, lui che era nobile non di origini quanto d’animo. Don Bosco aveva sperimentato una delle verità fondamentali dell’esistenza: senza una donna non si genera la vita, e senza un uomo non si impara ad offrirla in sacrificio. Proprio lui, Giovanni, che aveva perso il papà a 2 anni e visto sua madre farsi carico di famiglia e lavoro, con fedeltà assoluta. Ancora, non è un caso il fatto che la prima cosa che don Bosco farà, poco dopo il suo arrivo a Valdocco, nel primo oratorio, sarà di chiamare sua madre ad aiutarlo. Ci vuole molto amore, molta maturità, per non ingelosirsi della propria madre, quando questa ha attenzioni per tanti altri. Inoltre, presenterà Maria come madre ancora più grande, ancor più attenta e pronta. La madre che non abbandona, mai.

Mi viene da pensare sempre più spesso quanto sia facile abituarsi praticamente a tutto. Accendete un notiziario: la famiglia piegata e piagata in mille versi, un po’ di sdegno davanti a qualche riforma, a qualche fatto di cronaca… e poi?

Giovanni Paolo II ha definito don Bosco come Padre, Maestro ed Amico. È interessante il fatto che, prima ancora che maestro ed amico, don Bosco – sacerdote – sia definito padre! Già, perché se il maestro non è in cuor suo un padre, fornirà solo “informazioni” sulla vita, istruzioni per l’uso. Invece i consigli uno li accetta solo da chi sa che lo porta nel cuore, che ha cura di lui.

Prima padre, dunque, poi maestro e, infine, amico, non il contrario. Quanti genitori oggi sono “amici” dei propri figli? Quanti scopriranno che è un compromesso non destinato al lieto fine? I ragazzi infatti, di amici ne hanno e ne avranno o impareranno a farseli, ma di genitori hanno solo quelli che la Vita gli ha donato, e un genitore che si fa amico rende il figlio orfano di padre o madre, e costringendolo quindi a cercarseli altrove. Dite voi se la realtà di oggi non evidenzia fin troppo questo scenario. Diciamocelo ancora una volta: l’emergenza educativa non è un problema dei giovani, ma del mondo adulto: i giovani sono solo uno specchio delle nostre fragilità. Non dobbiamo dar loro soluzioni a problemi, ma convertirenoi stessi. Papa Francesco lo sta chiedendo in molti modi. Finché non ci si mette seriamente in discussione su questo piano, resteremo pieni di diagnosi sociali, e ogni malato sa che di sole diagnosi non si guarisce.

Paternità e maternità in casa di don Bosco. Ecco gli elementi che hanno nutrito la vita dei suoi ragazzi, che hanno intrecciato, negli anni, tante vite. Una cosa è dar da mangiare, un’altra è nutrire: le mamme lo sanno! Ebbene, nel corso di più di un secolo e mezzo, quante persone, uomini e donne, si sono nutrite di questo affetto che hanno sperimentato in tanti sacerdoti e coadiutori Sdb, tante suore Figlie di Maria Ausiliatrice, tanti collaboratori e collaboratrici che hanno contribuito ad allargare il cerchio di bene tracciato intorno a molte “case” salesiane? La scia lasciata dall’urna è fatta di migliaia cuori riconoscenti, non di cervelloni: se teniamo conto di come sia più facile plasmare una mente che un cuore….

Mi piace sottolinearlo, perché l’afflusso e la testimonianza di tantissime persone raccolte intorno all’urna – questo corpo all’apparenza morto, chiaramente vivo in realtà! – mi e ci ha fatto toccare con mano una figura ricca di umanità, capace di voler bene “bene”, liberando i giovani dalle più pericolose schiavitù di ogni tempo: la solitudine, l’ignoranza, l’individualismo, l’ozio, l’irresponsabilità. Ha potuto farlo senza una lira, perché l’unico capitale che aveva da spendere era il cuore enorme che Dio gli aveva concesso e puntualmente arricchito!

Un Padre, sì. Uno che ha fatto la scelta di voler bene più agli altri che a sé stesso: ecco come si ritrova “logorato”. È un bel modo di consumarsi, quello di non tenere nulla per sé. E abbiamo chiuso il cerchio.

Mi viene da pensare sempre più spesso quanto sia facile abituarsi praticamente a tutto, e che i tempi di Dio sono quelli agricoli, non quelli informatici. Don Bosco ha sperimentato che si raccoglie dove si è seminato, non quando si è seminato. Noi, oggi, come possiamo stupirci di un adolescente che non ci parla se non lo abbiamo ascoltato in precedenza, quand’era bambino e sembrava raccontare solo cose banali?

Don Bosco ci mette a contatto con la santità, con il richiamo e il fascino di una figura che guardava il quotidiano illuminato da una luce che veniva da oltre l’invisibile. I santi sono persone “unite-dentro”, solide: per questo ci attirano. Succede che una persona profondamente unita intorno ad un centro interiore sia profondamente capace di educare perché la sua testimonianza libera le persone che a lei si rapportano, non le costringe, non le uniforma, non le irrigidisce entro poveri schemi. Al di là della santità, a noi è dato di scegliere solo per la schizofrenia, la divisione interiore! “Non si può servire a due padroni” ci dice Gesù! Quant’è vero! L’incontro con don Bosco ci richiama a prendere una posizione davanti all’essenziale della vita, per questo affascina. Perché il suo è stato un sì per sempre, anche nella più buia delle difficoltà: morendo hagenerato vita.

Mi viene da pensare sempre più spesso quanto sia facile abituarsi praticamente a tutto. Una speranza però ce l’ho, e prendo in prestito parole di Goethe, estremamente significative in questa scia: “Ciò che hai ereditato dai padri, riconquistalo, se vuoi possederlo davvero”. Grazie don Bosco, grazie papà!

Mi viene da pensare sempre più spesso quanto si possa sempre rivalutare tutto…