«Morte» non è una brutta parola

(PINO PELLEGRINO, B.S.)

Oggi non si ‘muore’ più, oggi si ‘scompare’, si ‘viene a mancare’, ci ‘si spegne’, si ‘passa dal letto al cielo’… Oggi si può dire tutto, tranne ‘è morto’. La parola ‘morte’ disturba. No, così non va!

Don Bosco aveva inventato un bell’esercizio per i suoi ragazzi: una giornata di riflessione, di gioco e di festa chiamata “Esercizio della Buona Morte”. Era un momento molto bello in cui i ragazzi pensavano soprattutto alla vita!

Le domande sulla morte e il lutto, su Dio e il Paradiso sono normali per i bambini. Gli adulti spesso hanno difficoltà a rispondere perché quelle domande toccano temi repressi, negati. Quanto più la morte è cancellata dalla quotidianità, dalla vita degli adulti, quanto più questi si sentono impotenti di fronte a tali esperienze limite, tanto più i bambini si sentono lasciati soli, nelle esperienze che li opprimono, dalle persone di riferimento più vicine. Avvertono la mancanza di sostegno e orientamento. E poi le domande dei bambini sulla morte non riguardano soltanto la fine. I loro interrogativi contengono anche dei desideri; il desiderio di risposte a domande fondamentali circa il senso della vita.

La parola morte è tra le più intelligenti del vocabolario. Porta in sé due pensieri che toccano il vertice della saggezza. 

Il primo pensiero che ci arriva alla mente riflettendo sulla morte è quello del crollo di tutte le montature

  • Prima di tutto la montatura di chi imposta la sua via esclusivamente sulla carriera. Il pensiero della morte ci fa ridere della feroce serietà con cui alcuni si attaccano alla propria posizione. Anche senza di noi, il mondo va avanti benissimo! Eppure i cimiteri sono pieni di persone che si ritenevano indispensabili! È vero che le persone non sono intercambiabili, ma i ruoli sì. Il pensiero della morte ce lo ricorda: è il suo primo grande servizio di igiene mentale.
  • La seconda montatura che crolla davanti al pensiero della morte è l’impostazione della vita sulla fama. Facciamo un ragionamento quasi banale, tanto è ovvio. Tra qualche anno moriremo. Passerà un po’ di tempo e moriranno pure i nostri compagni, gli abitanti del paese, della città, della regione. Chi si ricorderà ancora di noi? Perché, dunque, far ruotare la vita sugli altri, su quello che possono dire o pensare di noi? Ecco: il pensiero della morte mi affranca dall’opinione. Passa il giudizio degli altri, passa il loro ricordo, passa la fama: solo la mia coscienza non passa. Solo di essa è da intelligente interessarmi. 
  • La terza montatura che crolla davanti a tale pensiero è l’impostazione della vita sulla ricchezza, sull’“avere”. Ha senso vivere per diventare l’uomo più ricco del cimitero? Se vi è cosa perfettamente inutile negli abiti dei defunti sono le tasche!

Tutti più buoni

Il pensiero della morte è positivo per una seconda ragione: perché ci fa diventare tutti più buoni

È impossibile parlare della morte senza parlare di Dio. 

Quando arriva il pensiero della morte, anche il più satanico aguzzino davanti al quale tremò tutta la terra, si ferma e medita. Il pensiero della morte impedisce d’esser distratti, ci concentra; fa entrare in noi stessi, crea silenzio e ci spinge a guardare in alto. 

Dicono che, quando gli esseri umani si trovino appesi alla vita per un filo, sentano scaturire in fondo al cuore la volontà di «agire per gli altri». È la volontà di compiere la «missione» di realizzare la felicità di tutti, senza preoccuparsi dei propri desideri. 

Quando al signor Son, fondatore di un impero bancario mondiale, fu annunciato che gli sarebbero rimasti 5 anni di vita, capì qual era lo «scopo della sua vita»: avrebbe, cioè, voluto vivere non per ottenere fama, né ricchezza, bensì per far sorridere le persone a lui care. 

Esiste un istinto particolare che è tipicamente umano: quello di «essere felici rendendo felici gli altri». 

Ciascuno di noi è costretto a rispondere ad alcune domande: Di recente, per che cosa sei stato ringraziato? Ti è stato detto «grazie»? La tua vita, finora, ha reso felici gli altri? C’è qualcuno che è felice grazie a te? Qual è la cosa più importante per te? Perché allora non la fai? Chi vorresti far sorridere? Quando ti si accende il cuore al pensiero di far sorridere qualcuno, a chi stai pensando? Quale tipo di felicità, per quante sono le tue possibilità, saresti in grado di far provare agli altri?

HANNO DETTO 

  • “Bisogna parlare della morte ai piccoli, certo. Se qualcuno della famiglia muore, è importante non privare mai il bambino della notizia di questa morte. Non dirglielo vuol dire trattarlo come un gatto o un cane, escluderlo dalla comunità degli esseri parlanti”. (Françoise Dolto, psicanalista) 
  • “Non sono d’accordo con chi pensa che i bambini sono da tener lontani e all’oscuro del pensiero della morte”. (Marcello Bernardi, pediatra) 
  • “Ritengo giusto parlare di morte ai bambini. Parlare con calma e dolcezza”. (Tilde Giani Gallino, psicologa) 
  • “Penso alla possibilità della morte ogni giorno, è un buon esercizio”. (Sigmund Freud, fondatore della psicanalisi)