La relazione educativa

Non esistono «i giovani di oggi»; esiste Quello davanti a me e io lo osservo con lo sguardo di chi lo accetta così, non lo giudica, non si ferma sui piercing, sugli orecchini o sui tatuaggi, ma lo guarda «come si deve guardare un uomo».

Relazione = uno sguardo accogliente

«Stavo passeggiando nei giardini di un ospedale psichiatrico, quando incontrai un giovane che con aria profondamente riflessiva stava leggendo un libro di filosofia. Il suo comportamento e la sua evidente buona salute mentale lo distinguevano notevolmente dagli altri ricoverati.

Mi sedetti accanto a lui e gli chiesi: “Penso che tu sia nel posto sbagliato. Che ci fai qui?”. Lui mi guardò, sorpreso. Ma visto che non ero uno dei medici, rispose: “È piuttosto semplice. 

Mio padre, un brillante avvocato, voleva che io diventassi come lui. Mio zio, che possiede alcuni grandi supermercati, sperava che io seguissi il suo esempio. Mia madre voleva che io fossi l’immagine del suo amato padre. Mia sorella mi metteva sempre da- vanti suo marito come esempio di uomo di successo. Mio fratello voleva a tutti i costi trasformarmi in un ottimo atleta proprio come lui. E la stessa cosa è successa a scuola, con l’insegnante di pianoforte e l’insegnante di Inglese, convinti di essere l’esempio migliore che io dovessi seguire. Nessuno di loro mi aveva guardato come uno dovrebbe guardare un uomo, ma come se fossero tutti in cerca di uno specchio. Così ho deciso di farmi ricoverare. Almeno qui posso es- sere me stesso”» (Bruno Ferrero).
È bella questa definizione di relazione: «Guardare uno come si deve guardare un uomo». La prima cosa che mi fa venire in mente è…

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