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“Adolescence”: l’impatto della nuova serie di Netflix

Prima in Italia ed in altri 70 Paesi – nonostante poco promossa e anticipata da Netflix – sta avendo un impatto molto forte sui genitori, spaventati dagli effetti della rete sui propri figli/e.

Adolescence” è la storia di un “normale” tredicenne americano, accusato di aver accoltellato e ucciso una compagna di scuola. Le cause? L’identificarsi in sacche di odio scoperto on line (gli “incel” e l’universo della manosfera), l’essere vittima di bullismo a scuola e sui social, relazioni e dinamiche incomprensibili al mondo adulto, a partire da genitori ed insegnanti, ma anche agli agenti che svolgono le indagini. Tutto ciò provoca un senso di inadeguatezza, suscita paure verso universi sconosciuti, interrogativi per non aver saputo costruire dialogo e relazioni con figlie/i: ogni genitore-spettatore non può quindi non immedesimarsi in tutto ciò. E la domanda delle domande è se la rete può essere un “foro educativo” così tanto attraente e capace di trasmettere “valori” (o meglio disvalori) che hanno conseguenze estreme, di cui la cronaca di parla sempre più spesso. È evidente – nella serie tv, così come nella realtà – che se la sovrabbondanza di mezzi non corrisponde più a valori positivi, etici, motivanti, si rischia che si crei un vuoto di significato e la ricerca ad una serie di interrogativi che l’adolescenza (ma anche la pre adolescenza) porta con sé, finisca per scoprire nuove opzioni, semplicistiche, attraenti e fortemente identificanti. Questo perché ognuno di noi sul web dichiara gusti, preferenze, desideri, interrogativi e, come sappiamo, tutto ciò viene registrato: in questo modo, l’algoritmo ci propone delle “offerte a noi riservate”, in molti casi di genere commerciale, in altri anche identitarie e valoriali (un esempio è ciò che avviene nelle campagne elettorali), in altre di “disvalori”. Purtroppo, ogni volta che c’è una strage o un omicidio, è impressionante scoprire come i colpevoli siano caduti in queste “trappole” del web.

La serie tv “Adolescence” in quattro episodi (tecnicamente tutti girati con un piano sequenza di un’ora) conduce gli spettatori in questa scoperta, catturando così l’attenzione in un’unica scena che non può essere sospesa. Da qui il successo e, soprattutto, l’impatto che la serie Tv ha prodotto, arrivando a proposte di legge che vietino certi siti, profili, pagine. Un dibattito enorme, ancora una volta, tra libertà di espressione e censura, tutela di minori e “fabbriche di consenso”, educazione all’uso consapevole dei media e impossibilità reale di un controllo parentale. 

Di fronte a questa realtà, come regolarsi? È un dato di fatto che internet sia disponibile 24 ore su 24 e che venga utilizzato dai minori per varie attività: videogiochi, ricerca di informazioni, passare il tempo, esplorare la propria identità, stabilire e mantenere relazioni con gli altri. La letteratura scientifica sul tema dell’uso dei social media tra i più giovani (studio HBSC) indica che, quando consapevole e responsabile, tale uso può avere un impatto positivo sul benessere dei/delle ragazzi/e in termini di maggiore percezione di supporto sociale, connessione con i pari e impegno civico. Però un uso eccessivo e/o problematico delle nuove tecnologie può avere ripercussioni sulla salute psico-fisica dei più giovani in termini di maggiori livelli di ansia, depressione e sintomi psico-fisici quali ansia di accedere ai social; volontà di passare sempre più tempo online; sintomi di astinenza quando si è offline; trascurare altre attività; litigi con genitori a causa dell’uso; problemi con gli altri; mentire ai genitori; fallimento nel controllo del tempo; usare i social per scappare da sentimenti negativi. Entrambi i sessi evidenziano maggiori risposte positive rispetto a questi due ultimi sintomi e per due ragazze su tre è una fuga da sentimenti negativi. È una sintomatologia che decresce con prevalenze negli 11enni e dai 13 ai 15 anni per le ragazze, con un uso problematico doppio rispetto ai maschi. Dal punto di vista socioeconomico, vi è un leggero aumento per i giovani che riportano un minor livello di benessere lungo tutte le età (aumento più marcato per i 13enni).

Don Bosco Borgomanero

Gli adolescenti spesso agiscono anche sui senza aver definito chiaramente cosa sia bene e cosa no, anzi con dei confini molto fluidi e personali tra questi due universi. Tutto ciò sollecita a percorrere vie senza una domanda rispetto al perché, al senso di ciò che si sta facendo. Sprecando così occasioni, talenti, passioni… 

Definire un nuovo modello educativo in questo contesto non è facile: ci riusciranno probabilmente i genitori cresciuti davanti ad uno schermo fina dall’infanzia: l’attuale generazione è in una fase in cui si accorge che i modelli precedenti (più autoritari) funzionano meno, ma si fatica ad adottarne uno nuovo. Ma non smettono di cercarlo: la sensazione è che non si voglia abdicare ad un ruolo educativo, come magari in passato è avvenuto. Certo, non si può non riconoscere quanto sia faticoso ascoltare un adolescente e sempre più difficile il mestiere di genitore oggi. Sempre dallo studio HBSC emerge come, all’interno delle famiglie, al crescere dell’età diminuisce la facilità con cui i ragazzi e le ragazze si aprono ad entrambi i genitori. In generale le ragazze hanno maggiore difficoltà a parlare con il padre e la madre. La figura con cui i ragazzi e le ragazze parlano più facilmente è la madre.

Genitori che a partire dai tanti “allarmi sociali” tratti da fatti di cronaca o serie TV, percepiscono che però non sono efficaci le logiche del “laissez faire”, del “si a tutto”.  È un dato di fatto che il tempo trascorso tra genitori e figli è molto diminuito: così, in questo nuovo scenario, diventa più difficile trovare momenti di incontro, confronto, dialogo tra genitori e figli. Si condividono meno sia spazi, sia tempi e non vi più una comunità educante di genitori. Perché è difficile trovare genitori che vivono nello stesso quartiere, nello stesso paese, nella stessa scuola e che si trovano per fare comunità: sentono parlare di amici e amiche e di altri genitori, che fanno in un modo o in un altro, ma che non conoscono. Al don Bosco stiamo cercando di ricostruire questo, con “classi” di genitori: è un lavoro lungo, silenzioso, ma oggi importante e che può fare la differenza.

Giovanni Campagnoli, Direttore