Tra i giovani e la Chiesa un ponte di domande
Fonte, Avvenire, Paola Bignardi, mercoledì 11 luglio 2018
E se le critiche dei giovani costituissero l’opportunità per una conversione che renda la Chiesa migliore per tutti, più evangelica e più contemporanea?
«Penso che sia possibile avere un rapporto con Dio a prescindere dalla Chiesa… per cui non credo sia necessario dover andare in Chiesa per forza ogni domenica… oppure avere un dialogo con un parroco o confessarsi…». La posizione di questa giovane rappresenta l’opinione della maggioranza di quei giovani che continuano a ritenersi credenti e cattolici, anche se hanno abbandonato le pratiche della vita cristiana. Ed è l’opinione anche di molti degli intervistati per l’indagine dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo sul rapporto tra i giovani e la fede, da cui provengono i brani citati in questo articolo (Rita Bichi e Paola Bignardi, Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia, Vita e Pensiero, Milano 2015). Il rapporto tra i giovani e la Chiesa è difficile, teso, spesso arrabbiato. L’atteggiamento prevalente parla di scarsa fiducia, di un complessivo senso di estraneità, della convinzione che sia necessario un cambiamento profondo. La questione ecclesiale chiaramente interagisce con il modo con cui le persone si pongono di fronte alla questione religiosa. Il discorso sulla Chiesa ha un’eco diversa per il 50% di giovani che si dichiarano cattolici, rispetto all’altro 50% che si dichiara ateo o agnostico o diversamente credente. Per chi non crede, il confronto non avviene primariamente con la Chiesa, ma con il senso che ha la fede in Dio, ben sapendo che questa è mediata dalla Chiesa, dal percorso catechistico svolto nella fanciullezza, dall’ambiente che si è frequentato, dalle persone che in esso si sono incontrate…
In ogni caso, vi sono aspetti comuni ai giovani credenti e non credenti. Su questo tema le semplificazioni sono pericolose e non consentono di capire una relazione nella quale entrano molti elementi di complessità. Innanzitutto il modo con cui i giovani vivono il rapporto con le istituzioni, tutte le istituzioni, inclusa la Chiesa. Per una sensibilità fortemente connotata in senso individualistico e soggettivo, è difficile accettare quelle realtà esterne a sé che hanno proprie regole, proprie gerarchie, linguaggi e culture che non sono adattabili o modificabili a piacere. La presa di distanza da queste realtà prende per i giovani la forma della sfiducia, più che del conflitto esplicito. Così è per la Chiesa; la testimonianza di questo giovane è significativa al riguardo: «Quello che penso personalmente è che sì, ho fede, credo in Dio, però non credo più nelle istituzioni della Chiesa, penso che la fede è una cosa buona, da seguire, un pensiero da portare avanti, da tramandare ai figli, però non credo più nelle istituzioni».
La posizione prevalente in chi si è allontanato è quella che tende a escludere la Chiesa per un motivo radicale, per una ragione di principio, che si può riassumere così: cosa c’entra la Chiesa col mio rapporto con Dio? L’esasperazione dell’individualismo prevalente oggi nella sensibilità diffusa, unita a un’esperienza catechistica vissuta con disagio, ha finito con il generare una forte insofferenza verso la Chiesa. Il percorso catechistico che i giovani hanno frequentato per l’iniziazione cristiana ha lasciato in loro il sapore della costrizione; …
Fonte, Avvenire, Paola Bignardi – CONTINUA A LEGGERE