Quando un incontro fa la differenza
All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva.
Questo è fare Pasqua. A questo deve portare il cammino quaresimale: a un incontro che fa la differenza.
In una classe, dopo le vacanze natalizie, il professore vuole saggiare il grado di conoscenza religiosa dei suoi alunni. Da loro un tema da svolgere dopo la festa dell’Epifania: “I tre Re Magi hanno portato a Gesù tre doni: oro, incenso e mirra. Secondo voi, quale dei tre è il dono più prezioso? E perché?”. Le risposte, come si poteva supporre, sono le più varie e disparate. Chi dice che la mirra è il dono più prezioso perché sottolinea come la sofferenza e la morte in croce di Gesù siano il segno più grande del suo amore per ogni uomo. Chi invece sostiene che il dono dell’incenso mette molto bene in risalto la funzione sacerdotale di Gesù, quale ponte tra cielo e terra che ha unito Dio agli uomini e gli uomini a Dio. Altri studenti invece decisamente scelgono il dono dell’oro come segno di colui che, Re del cielo e della terra, è proprietario di tutte le ricchezze che sono state, sono e saranno.
Il professore, dopo essersi congratulato con gli alunni e per il tema svolto, e per la saggezza delle argomentazioni che hanno motivato le diverse scelte e le varie preferenze dei doni, non può però non constatare: «Devo rammaricarmi con lo studente ritenuto il più bravo, che ha consegnato il quaderno, senza scrivere una riga sul tema proposto. Perché?».
Roberto, stranamente sereno e sicuro di sé, si aspettava il rimprovero o almeno una richiesta di giustificazione, e risponde semplicemente che, a suo giudizio, nessuno dei tre doni è importante. «Secondo me, signor professore, il dono più grande che i tre Re Magi hanno fatto a Gesù è stato il loro prostrarsi per adorarlo. Mi pare – continuò il saggio studente – che Gesù abbia gradito dai Magi più l’offerta che hanno fatto di se stessi, che non quanto essi avevano in mano».
Quanto lontano sono i miei pensieri dai vostri pensieri
«Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie – oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri». (Isaia 55,8-9).
Il profeta sottolinea con forza quanto noi uomini siamo convinti di essere dalla parte di Dio quando ci comportiamo come noi vorremmo che lui si comportasse. A noi piace ricevere doni e quindi piace anche a lui. Eppure, dobbiamo ammetterlo, la preziosità del dono non si misura da quello che si dà o da quanto si dà, ma dal cuore con cui lo si dà. Il sorriso che accompagna il dono vale più del dono stesso. E allora forse più che spingere Dio a pensare come noi, la fede è sforzarsi di avvicinarsi a pensare come Dio. I Magi hanno adorato Gesù. Adorare è annientarsi per amore. È proprio il dono più grande: donare la vita per gli altri. Hanno visto in Gesù un Dio che si annienta per amore dell’uomo. E l’uomo, per rispondere a un Dio che gli si dona, non poteva rispondere meglio che con la propria adorazione, che è il suo sì di ogni momento al prossimo, dono che Gesù ritiene fatto a sé. Gesù a San Pietro che lo invitava a comportarsi da Dio e a non dire che avrebbe dovuto sopportare la passione risponde: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». (Mc 8,33).
Ingredienti per pensare come Dio
Adorare è consegnarsi a chi finalmente, dopo tante ricerche, ha aperto gli occhi e ha riempito il cuore di significato aprendo orizzonti nuovi e mai sperati. La fede non è un modo di comportarsi innanzitutto. La fede non è prima di tutto un insieme di dogmi da difendere contro gli avversari. Tanti operatori pastorali si lamentano che i giovani non sanno le risposte del catechismo e non sanno l’atto di dolore e non sanno elencare i comandamenti e le quattro virtù cardinali… Forse dovrebbero chiedersi se i giovani sanno qualcosa di Gesù Cristo e soprattutto dovrebbero domandarsi se hanno fatto qualcosa per «consegnare» loro Gesù piuttosto che tanti sensi di colpa circa l’osservanza di precetti costruiti dagli uomini e imposti ai fedeli come pesanti fardelli che «loro non vogliono muoverli neppure con un dito» (Mt 23,4).
La fede è innanzitutto incontro tra due libertà quella di Dio e quella dell’uomo, un incontro che cambia la storia dell’uomo, cambia la strada nella quale si pensava di costruire la propria vita e come i Magi «per un’altra strada fecero ritorno al loro paese» (Mt 2,12).
Papa Benedetto nella «Deus caritas est» dice: «Al centro dell’esperienza cristiana c’è l’incontro tra la libertà di Dio e quella dell’uomo, che non si annullano a vicenda. La libertà dell’uomo, infatti, viene continuamente educata dall’incontro con Dio… All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva».
Il rischio costante è quello di costruire la fede intorno a verità e speculazioni teologiche senza aver mai incontrato colui che solo può illuminare e giustificare tutte le verità e le speculazioni. Credere è consegnarsi, adorare una Persona, l’unica che può dare risposte alle nostre domande e offrire una direzione alla nostra storia che è storia della salvezza perché piena e in sintonia con il Salvatore.
Una fede che va costruita ogni giorno, continuamente, evitando il rischio della ripetitività, della noia, della sonnolenza, della ritualità fine a se stessa…