Quale bellezza salverà il mondo?

Abbiamo perso il baricentro dell’esistenza, soffocato tra le spire del superfluo. Stiamo cadendo. Quale bellezza ci terrà in piedi?

È questa la domanda spiazzante che Fedor Dostoevskij lancia nel suo libro L’idiota. È la domanda che sorge spontanea di fronte alla monotonia di un mondo globalizzato che ha perso ogni traccia di originalità. Un mondo in cui anche il bello è stato standardizzato, inquadrato, ingabbiato all’interno di precisi parametri. Un mondo che evita la profondità, relegato alla superficie. Un mondo distratto di fronte alla realtà, incapace di vivere il presente, proiettato a ciò che sarà. A tal punto annegato nella sua complessità da perdere di vista la semplicità.

Abbiamo perso il baricentro dell’esistenza, soffocato tra le spire del superfluo. Siamo fossilizzati, abbiamo smarrito noi stessi. E siamo in crisi. Come una trottola che improvvisamente ha perso il proprio centro di equilibrio e comincia a girare vorticosamente in maniera scomposta. Stiamo cadendo. Quale bellezza ci terrà in piedi?

Innanzi tutto dobbiamo comprendere quale sia l’essenziale che abbiamo perso di vista.

Nel Preludio 15, Opera 28, Fryderyk Chopin dipinge una melodia singolare: in primo piano si impone un motivo suggestivo e immediato, mentre in secondo piano si cela una singola nota che dal principio alla fine viene ripetuta continuamente e che sfugge ad un ascolto superficiale e istintivo. Così è la vita. La nostra esistenza è costellata da distrazioni e da attrazioni impulsive, non conosce la fatica della ricerca, è votata all’appagamento istantaneo. Insomma nella nostra vita domina ciò che è istintivo, immediato e facile. Ciò che sta in primo piano, appunto.

E invece la vita sta al di là della musica in primo piano: è una nota sola dal principio alla fine, da quando si è fanciulli a quando si diventa vecchi. C’è una nota che dal principio alla fine rimane intatta nella sua profondità e, nella sua semplicità assoluta, nella sua univocità, domina tutta la vita: la sete di felicità.

Così scrive Don Luigi Giussani a proposito del brano di Chopin. Dobbiamo riconoscerlo: la felicità umana non può essere raggiunta che mediante l’esercizio dell’Io, che si esplica nel desiderio di una conoscenza via via sempre più assoluta, ovvero nella ricerca di un fine ultimo, capace di dare un senso all’esistenza stessa dell’uomo. La realtà tutta sottende un desiderio di senso. Questo è l’essenziale. Tutte le domande, tutte le aspirazioni, tutti i desideri umani hanno a che fare con quell’unica nota. Chi comprende questo può scrollarsi di dosso le cataratte che gli oscuravano la vista e osservare finalmente la vera bellezza: avvertire l’infinito.

Come in Mezzogiorno sulle Alpi, opera di Giovanni Segantini: una donna fissa il sole, attorniata dalle montagne che esplodono nella luce del giorno. L’essere umano solo di fronte all’immensità della natura. È una visione spietata: l’uomo non conta più delle rocce. Eppure può guardare dritto negli occhi l’infinito, proteso, nel tentativo di coglierlo. Chi meglio di un artista può comprendere tutto ciò? Egli è colui che ha il coraggio di lasciarsi alle spalle le bandiere dell’ideologia e dell’apparenza, lanciato in una lotta che ai più sembra inutile, che rassomiglia la sfida contro i mulini a vento. È un Don Chisciotte innamorato della realtà che combatte per provocare l’uomo, per suscitare domande. É un semplice curioso che aguzza la vista oltre il primo piano per scoprire che la bellezza non è poi tanto distante. La bellezza non è inaccessibile, non si nasconde dietro i canoni invalicabili dell’estetica o i riflessi dorati della ricchezza o le possibilità della tecnologia. La vera bellezza è semplice. La vera bellezza è l’essenziale. Secondo Mario Rigoni Stern è un brivido.

Avete mai assistito ad un alba sulle montagne? Ad un certo momento, prima che il sole esca dall’orizzonte, c’è un fremito. Non è l’aria che si è mossa! È un qualche cosa che fa fremere l’erba, che fa fremere le fronde, l’aria stessa. Ed è un brivido che percorre anche la tua pelle. E per conto mio è il brivido della creazione.

Alvise Renier

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