OTTOBRE: imprenditori di sogni
Cari genitori e docenti,
la scuola si è avviata ormai alla grande e il mese di ottobre (da sempre mese missionario) è un momento particolare per affiancarci ai ragazzi/e per spronarli a prendere in mano quel progetto che sta maturando piano piano come un sogno che profuma di futuro e spalanca orizzonti impegnativi ma soprattutto colorati!
Ecco allora alcuni spunti di riflessione per la nostra missione educativa.
Il Papa chiede ai giovani di imparare a rischiare
“Amici – ha detto agli universitari incontrati alla GMG a Lisbona -, permettetemi di dirvi: cercate e rischiate. In questo frangente storico le sfide sono enormi e i gemiti dolorosi. Stiamo attraversando una terza guerra mondiale a pezzi ma abbracciamo il rischio di pensare che non siamo in un’agonia, bensì in un parto; non alla fine, ma all’inizio di un grande spettacolo. Ci vuole coraggio. Siate dunque protagonisti di una ‘nuova coreografia’ che metta al centro la persona umana, siate coreografi della danza della vita”.
“L’autopreservazione – ha sottolineato Papa Francesco – è una tentazione, un riflesso condizionato della paura, che fa guardare all’esistenza in modo distorto. Se i semi preservassero sé stessi, sprecherebbero completamente la loro potenza generativa e ci condannerebbero alla fame; se gli inverni preservassero sé stessi, non ci sarebbe la meraviglia della primavera.
Abbiate perciò il coraggio di sostituire le paure coi sogni:
non amministratori di paure, ma imprenditori di sogni!”
Come rispondere a questo appello di Francesco ai giovani?
Mi sono chiesto come don Bosco, il santo che ha giocato tutta la sua vita con i sogni che si rincorrevano in continuazione, potrebbe aiutarci a sviluppare l’appello del nostro papa Francesco. E voglio dire tre cose. Innanzitutto il sogno non si svolge così, con uno schiocco delle dita, ma il sogno si realizza solo se si sa aspettare e quindi, in una cultura del tutto e subito, dobbiamo rimetterci in fila e ricuperare il valore incredibile che ha l’attesa nella realizzazione dei desideri. Poi vorrei ragionare su come possiamo tradurre oggi le tre parole fondanti il sistema educativo di don Bosco: la ragione, la religione e l’amorevolezza. E quindi chiudere con l’impegno missionario come ci suggerisce ancora il Papa.
Amministrare la paura è una rassegnazione alla sopravvivenza,
essere imprenditori di sogni è un inno alla libertà-responsabilità
L’aspra beatitudine dell’attesa
«L’attendere è un’arte che il nostro tempo impaziente ha dimenticato. Il nostro tempo vorrebbe cogliere il frutto appena il germoglio è piantato; così gli occhi avidi sono ingannati in continuazione, perché il frutto, all’apparenza così bello, al suo interno è ancora aspro, e mani impietose gettano via ciò che le ha deluse. Chi non conosce l’aspra beatitudine dell’attesa, che è mancanza di ciò che si spera, non sperimenterà mai, nella sua interezza, la benedizione dell’adempimento» (Dietrich Bonhoeffer).
Non amo attendere
Un ragazzo scrive in una lettera indirizzata a don Bosco. «Tu che sei il santo dei sogni, dammi un sogno perché io non ne ho ancora nessuno». È bella questa richiesta, ma è anche triste, perché rivela che il ragazzo ha tutto, non gli manca niente e quindi non ha sogni, non ha attese. La nostra cultura è la cultura che ha ucciso l’attesa, il desiderio, il sogno. Tutto è dovuto, tutto è facile, usa e getta. E i nostri ragazzi hanno imparato dagli adulti il nervosismo di fronte all’attesa. Leggo una preghiera trovata su un foglietto: «Non amo attendere nelle file. Non amo attendere il mio turno. Non amo attendere il treno. Non amo attendere prima di giudicare. Non amo attendere il momento opportuno. Non amo attendere un giorno ancora. Non amo attendere perché non ho tempo e non vivo che nell’istante. D’altronde Tu lo sai bene, tutto è fatto per evitarmi l’attesa: gli abbonamenti ai mezzi di trasporto e i self-service, le vendite a credito e i distributori automatici, le foto a sviluppo istantaneo, i telex e i terminali dei computer, la televisione e i radiogiornali. Non ho bisogno di attendere le notizie: sono loro a precedermi».
Il sogno come assunzione di responsabilità
Io credo che solo l’attesa custodita genera persone libere e responsabili. Perché l’attesa, solo l’attesa desta l’attenzione e solo l’attenzione è capace di amare. Consumare produce superficialità, incapacità di cogliere la bellezza di quello che si possiede. Se non lo si è desiderato e se non si è sudato per ottenerlo non se ne conosce il valore e quindi non si fa fatica a perderlo perché non c’è stato tempo per amarlo. E così si passa sempre ad altro, mai soddisfatti, mai innamorati col cuore ma solo con i sensi. La famiglia è responsabile dei sogni dei ragazzi e la scuola deve dare ai ragazzi la possibilità e quindi la bellezza di guadagnarsi il risultato, il prodotto finale. Restituiamo ai ragazzi i sogni e facciamoli uscire da quel dormiveglia in cui si rifugiano magari nel mondo virtuale senza desideri e senza spina dorsale, immersi in una fragilità generazionale che li spinge ad accontentarsi di rimanere in famiglia a quaranta anni o a rifiutare un lavoro troppo impegnativo o non corrispondente al titolo di studio, vivacchiando alla giornata senza scelte impegnative e decisive. «Ragazzi divano» li definisce il Papa: «È brutto vedere un giovane che va in pensione a 20 anni, è brutto; ed è brutto anche vedere un giovane che vive sul divano. Non è vero? Né giovani “in pensione”, né giovani “da divano”. Giovani che camminino, giovani di strada, giovani che vadano avanti, uno accanto all’altro, ma guardando il futuro». Conosco un santo che non ha mai smesso di sognare e che era capace di distribuire sogni a tutti i suoi ragazzi perché fossero forti e coraggiosi, «buoni cristiani e onesti cittadini». Il vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla, ha cercato di tradurre le tre parole di don Bosco «ragione religione amorevolezza» in altre tre che possono guidare il nostro lavoro educativo oggi in questo tempo fluido e, di conseguenza, fragile e volubile.
La ragione come «parola, racconto»
«La “ragione” di don Bosco deve diventare oggi “parola”, “racconto”. Il papà e la mamma, e poi i professori, i collaboratori, i cooperatori, ogni educatore insomma, tutti coloro che appartengono all’orchestra dell’educazione, devono restituire a questi ragazzi e giovani lo spazio della parola, devono indicare la direzione in cui andare, devono essere padri premurosi che servano da guida negli eventi della vita e che diano consigli amorevoli, mentre correggono e incoraggiano. Essi, però, lo devono fare spiegando ragionevolmente le regole e le responsabilità che indicano, testimoniando personalmente quello che chiedono attraverso un “racconto” di vita buona. Oggi potremmo dire che la nostra educazione deve essere “ragionevole”: essa dev’essere capace di spiegare le buone ragioni di quello che io ti dico, di farti crescere, di indicarti ciò che richiedo, perché ti aiuta a diventare adulto, ti fa sognare in grande, ti fa inventare il domani a colori. Ecco questa è la prima parola molto importante del sistema preventivo».
La religione come «fiducia»
La seconda parola è la «fiducia». «L’ottimismo di don Bosco è l’affidabilità della religione, la fiducia nella vocazione trascendente di ogni uomo, soprattutto del cucciolo d’uomo, del ragazzo e dell’adolescente. È una fiducia che si rivolge alla «pars sanior» della persona, che si nasconde anche nel giovane più disturbato o disagiato. La fiducia data a coloro che s’affacciano al futuro non è mai troppa, bisogna osare di spenderla un po’ di più nei loro confronti. Siamo diventati una società divisiva, che ha perso l’alleanza educativa. Genitori ed educatori non sono più tutti dalla stessa parte, ma talvolta sono su fronti contrapposti. Invece professori, educatori, genitori devono essere dalla stessa parte. Sicuramente per dire e donare parole di fiducia, ma anche per indicare a ogni passo che questo ragazzo fa, il sogno che lui coltiva non deve rassegnarsi troppo in fretta al risultato raggiunto, ma deve volare alto sospinto da una fiducia con un ampio orizzonte. Il nostro sogno deve essere così. Don Bosco era un visionario: sognava così in grande che trasmetteva anche agli altri la fiducia. Se i ragazzi non li affascini, non sanno avere sogni e visioni».
L’amorevolezza come «tenerezza»
E, infine, la terza e ultima parola: amorevolezza. «Oggi con il nuovo Papa la traduciamo con «tenerezza». Si può raccontare la vita buona, si può essere papà e mamme che spiegano i loro interventi educativi, si può essere educatori che infondono fiducia alle nuove generazioni, solo se fin dall’inizio si è mossi dall’amorevolezza e dalla tenerezza. La tenerezza vera è un’attitudine che si prende cura della libertà, che ha a cuore il suo domani. Ciò non significa solo rispettare la libertà dell’altro, ma prendersene cura come della realtà più preziosa. La vera tenerezza si prende cura dell’altro, lo prende a cuore, vi dedica la sua passione e la sua vita. Ancor di più, fa diventare ciascuno importante per me e per sé. Il bambino cresce, l’adolescente diventa grande, il giovane trova la sua strada, solo se si sente guardato con uno sguardo di singolarità, di amore personalizzante, che lo fa diventare unico, irripetibile. Nella parola e nel gesto della tenerezza è come se dicessimo: per me non c’è uno più importante di te! Questo fa la tenerezza. Bisogna prendere un ragazzo e un giovane e prendersi cura di lui come fosse unico! Questa è la tenerezza di chi si prende cura, non la falsa arrendevolezza di chi lascia fare».
Ottobre: mese missionario
Ogni genitore-educatore è per definizione anche missionario. Ha una missione da svolgere, ne va della sua identità se non accompagna i suoi cuccioli a diventare se stessi, ciò per cui sono stati sognati da Dio e da quanti vogliono loro bene.
Abbiamo aperto col Papa e chiudiamo ancora con Francesco.
Nel suo intervento per la 97ma giornata missionaria mondiale (22 ottobre) ha mandato un messaggio intitolato «Cuori ardenti, piedi in cammino», prendendo spunto dal racconto dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35), due ragazzi che si sentono traditi dal loro Gesù e ora sono confusi e delusi e abbandonano il loro sogno. Ma è proprio l’incontro con Gesù che scalda il loro cuore con la Parola, che apre i loro occhi per farli continuare a sognare ad occhi aperti e che mette i loro piedi in cammino per ritornare pronti a riprendere in pugno la loro vita là dove l’avevano abbandonata affinché sia piena di vita e di un sogno incredibile!
Facciamo e aiutiamo a fare bei sogni!
don Giuliano