Non possiamo permetterci il lusso di essere tristi
QUARESIMA: un tempo di conversione, un tempo per riscoprire il volto paterno e pieno di misericordia del nostro Dio, un tempo per vivacizzare la nostra partecipazione alla liturgia, un tempo per ricuperare la gioia di essere figli di un Padre, un tempo per la gioia appunto!
Vogliamo chiamare le cose per nome? E allora diamo un nome a certe celebrazioni eucaristiche domenicali dove i fedeli arrivano quando vogliono, tanti dopo la prima lettura, dove ci si mette uno qua e uno là in un anonimato pazzesco, dove se si canta è solo grazie al piccolo coretto di fanciullette della prima comunione, dove la predica è sopportata e piena di sbadigli, dove tanti non fanno la comunione… Esagerato? Prova a registrare la fila durante la comunione. Ti sembra di vederne uno contento? Tra un po’ potrà mangiare il suo Dio, pensa!, e come mai si trascina sui piedi con tutte le rughe tese e non c’è un’ombra di felicità per quello che sta compiendo? Esagerato? Al bingo, alle gru, allo stadio e ai concerti tira tutta un’altra aria!
Un popolo triste e annoiato
Una religione subita non desta gioia. Ma lo stesso linguaggio che ancora si adopera sa di commerciale: ho fatto il precetto, ho preso messa, oggi non ho preso l’ostia. Si può essere invitati a pranzo e non mangiare e starsene in piedi, dietro la colonna, quasi per essere pronti a guadagnar l’uscita allo sprint finale? Ovviamente tutto questo è colpa della formazione ricevuta, e, diciamola tutta, è colpa dei preti, questi noiosi! Ma adesso che abbiamo trovato il capro espiatorio vogliamo guardare avanti e chiederci se la cosa deve continuare così, tirando alla meno peggio, oppure si può por mano alla radice e alzare il livello del nostro modo di manifestare la fede in maniera che corrisponda a quello che diciamo di credere? Certo portare la croce è dura e non invita a manifestare gioia. Ma la croce non è in vista della risurrezione e questa può radunare un popolo di tristi e musoni? Siamo come quel figlio che non si sente parte della festa che il Padre organizza per il ritorno del fratello: che razza di Dio è questo che fa festa per chi se ne è scappato di casa e ha la faccia tosta di tornare per sbafarsi il vitello? No, non ci piace. Preferiamo un Dio serio. Non ci piace un Dio che frequenta le taverne o addirittura mangia con i peccatori come faceva quel galileo famoso. A noi ci va bene un Dio che si fa rispettare e che quando ci riceve in casa sua alla domenica non vuole essere disturbato dalla nostra gioia. Meglio un Dio-oppio. Esagerato?
Un’esplosione di vita
Finalmente alla domenica ci si offre l’opportunità di esplodere con gioia indicibile quella fede che durante la settimana non abbiamo potuto manifestare perché presi dal ritmo incalzante della vita, e quel Dio che ci è stato accanto sempre, ora ci invita a casa sua e offre tutto lui. Offre la sua Parola che ci illumina, ci chiarisce le idee, ci scalda il cuore stanco dell’andare quotidiano della vita. Offre e spezza per noi il Pane, quel Pane che è lui stesso fatto carne per noi perché chi ne mangia avrà la vita e non morirà in eterno. E lui vuole che tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Che Dio mitico e figo! Come non stupirci e commuoverci mentre ci parla, ci cura le ferite del cuore, versa olio sulla nostra stanchezza, ci sazia del suo Pane e ci abbraccia come il migliore dei Padri?
La santa messa è il concerto della vita. Lui è il cantautore che stuzzica la nostra voglia di bellezza, di bontà, di amore, di misericordia. Ci invita a cantare con lui come compagni di viaggio perché lui non ci lascerà orfani e sarà con noi fino alla fine dei tempi. È un preludio di quella risurrezione che ci vedrà tutti insieme al banchetto finale dove quelli che lo hanno saputo riconoscere in chi aveva fame e sete, o in carcere e malato, o nudo e straniero, o diverso e indifeso, o piccolo e più debole… si sentiranno dire «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo» (Mt 25).
Dimmi chi è il tuo Dio e ti dirò come preghi
Faccio fatica a capire come sia possibile, dopo la confessione, dare come penitenza la preghiera. Se la preghiera è una penitenza è chiaro che non la si fa volentieri. Ma la preghiera nelle sue varie forme di celebrazione e nei diversi formulari è dialogare con Dio. Mi chiedo se possa essere un obbligo o un dovere. Ma che cosa c’è di più bello che poter parlare e dialogare e cantare con il nostro Dio? Ma c’è piacere più grande? Se Dio è colui che ci ama di più e non smette mai di amarci e se noi amiamo lui con tutto il cuore, l’anima e le forze, cosa c’è di più bello e desiderabile dell’incontrarlo in momenti di intimità? Il fidanzato non vede l’ora di incontrare la sua amata e il tempo che può stare con lei passa velocissimo perché vissuto in ogni singolo attimo e goduto in ogni frazione di secondo. E noi ci annoiamo quando siamo con il nostro Dio? Ci distraiamo? Ci dimentichiamo di pregare? Non abbiamo tempo alla domenica? Se è così noi crediamo ma non abbiamo fede. Benvenuta tristezza! Come evitare il rischio di diventare dei bigotti che non hanno mai incontrato Dio e lo confondono con l’esattore delle tasse al quale ogni tanto debbono, purtroppo e con tristezza, l’obolo o una visita frettolosa e distratta? E poi ci stupiamo che nelle nostre assemblee mancano completamente certe fasce di età? Esagerato? «È ormai tempo di svegliar(vi)ci dal sonno». (Rom 13,11).