L’ARTE DI EDUCARE: 3. Salviamo la fatica
Al termine di una conferenza, una persona del pubblico domandò al sociologo che aveva parlato: «Secondo lei, la nostra è davvero una gioventù bruciata?»
Il conferenziere, pronto: «Macché gioventù bruciata.
È gioventù bollita!».
(Pino Pellegrino, Bollettino Salesiano)
Una sera, dopo un applauditissimo concerto, il maestro Andrés Segovia, considerato il più grande chitarrista di tutti i tempi, fu avvicinato da un ammiratore che, estasiato, gli disse: «Maestro, darei la vita per suonare come lei!». Andrés Segovia lo fissò intensamente e rispose: «È esattamente il prezzo che ho pagato io».
Per qualunque meta il prezzo è salato
Il mio elogio della fatica, che si fonda sull’impossibilità di eliminarla, nasce dall’esperienza. Mi è veramente impossibile descrivere un’esistenza che sia priva di fatica. Devo anzi dire che in tutte le occasioni in cui mi sono spinto ad analizzare nel dettaglio la biografia di quegli uomini o donne, di quei ragazzi, che sono diventati esemplari, poiché hanno vissuto il proprio tempo con grande dignità, arricchendolo di un significato molto positivo, ebbene, ogni volta ho incontrato anche la fatica, la loro fatica perché queste vite esemplari sono state vite molto faticose.
Si deve guardare alla fatica non come a un ostacolo, bensì come a uno stimolo, a una sferzata che ci prepara a non retrocedere di fronte alle difficoltà. Un vero e proprio allenamento per imparare ad affrontarle e superarle.
Non è possibile raggiungere alcun obiettivo saltando questo passaggio. E non perché la fatica debba presentarsi per forza, ma perché può essere sempre lì, in agguato dietro l’angolo. Non considerarla, qualora poi si concretizzasse, significa rischiare di paralizzarsi, di non saper andare avanti, di crescere, appunto.
In questo senso, la fatica porta a dotarsi di capacità che non sarebbero richieste nell’ordinario. La fatica funziona come molla per acquisire capacità a fare cose che potrebbe essere necessario realizzare.
I genitori facchini
Oggi ogni sforzo è tenuto alla larga. Se vi capita di trovarvi davanti a una scuola elementare al mattino, provate a osservare chi porta lo zaino dal parcheggio all’ingresso. Sia all’entrata sia all’uscita da scuola, quasi tutti i bambini si muovono in assoluta libertà, seguiti poco distanti da genitori (o nonni) facchini. Quando poi i figli (o nipoti) sono più d’uno, capita di vedere adulti con due zaini sulle spalle, che possono anche diventare tre, se per caso si invita a casa un amichetto.
Si potrebbe stendere una lunga lista dei gesti automatici che ogni giorno compiamo, spesso inconsapevolmente, per preservare i ragazzi dalla fatica. La nostra società sta diventando la società della bambagia.
Da Bolzano a Palermo le madri e i padri si rivolgono al figlio con l’unico ritornello: “Te la senti, tesoro, di andare a piedi?”. “Che cosa vuoi che facciamo per cena?”. “Vuoi le patatine fritte o la pizza?”. E così ecco i nostri ragazzi con la grinta del pesce bollito. Alcuni li hanno definiti ‘ragazzi-peluche’. Gli psicologi parlano di ‘psicastenia’: mancanza di resistenza alla fatica.
È urgente necessità riportare la fatica nell’educazione, riportare il sacrificio e la rinuncia non solo in quaresima. Tenere i figli alla larga da ogni difficoltà, da ogni fatica è truffarli.
La vita non è una crociera, non è una scatola di cioccolatini, un lecca lecca continuo.
Coglie pienamente nel segno lo scrittore Gaspare Barbiellini Amidei quando dice che «I genitori troppo morbidi sono quelli che fanno le peggiori ingiustizie al figlio».
Tenere alla larga la fatica è preparare l’infarto della volontà: l’infarto, cioè, del primo “sponsor della vita”, per dirla con Ambrogio Fogar, il grintoso navigatore di oceani in solitaria. Tenere il figlio alla larga da ogni fatica è allevare un tiranno di domani.
Tanti sono oggi gli specialisti in cerca della medicina che possa guarire il nostro mondo ammalato.
Alcuni puntano sulla ‘Bellezza’: “La Bellezza salverà il mondo”, dicono. Altri scommettono sulla ‘Gioia’: “Un sorriso salverà il mondo”, ci mandano a dire. Altri ancora puntano sulla ‘Tenerezza’: “una carezza salverà il mondo”, reclamizzano.
Noi siamo dell’opinione che solo un supplemento di fatica può rimettere il nostro mondo sulla giusta rotta: solo la fatica porta al miracolo! Che ne dite?
Se si possiedono tali capacità, si supera l’ostacolo e si prosegue il cammino: il cammino verso un obiettivo, dunque verso la soddisfazione. In caso contrario ci si ferma.
IL METODO DEMOSTENE
Demostene (384-322 a.C.) fu uno dei più grandi oratori dell’antichità. All’inizio, però, tutti lo deridevano. Ed avevano ragione. Non sapeva fare i movimenti giusti delle mani, della faccia, degli occhi; non pronunciava bene le parole e, soprattutto, balbettava.
Insomma uno meno adatto a parlare in pubblico sarebbe stato difficile trovarlo.
Ma Demostene non si scoraggiò. Aveva una grinta rocciosa. Si ritirò per qualche anno, deciso a prepararsi alla perfezione. Incominciò a studiare a memoria i discorsi degli oratori più famosi che l’avevano preceduto. Poi, per allargare i polmoni e imparare a trattenere il respiro, si diede a correre su e giù da una collina all’altra. Per poter dominare, domani, il tumulto delle assemblee, andò sulla spiaggia del mare e si esercitò a superare il rumore delle onde in tempesta. Arrivò persino a mettersi dei sassolini in bocca per migliorare e forgiare la pronuncia.
Finalmente si presentò al pubblico per i dibattiti nei tribunali e nelle assemblee. Fu un trionfo! Tutti lo applaudirono. Ormai era diventato il più celebre e ammirato oratore della Grecia.
Il metodo Demostene è il metodo Uomo!
IL METODO DYBALA
Il calciatore Paulo Dybala ha costruito la sua fortuna sul talento mancino, usando soprattutto il piede sinistro. Ultimamente ha segnato due reti con il piede destro. Un segreto c’è ed è legato agli allenamenti, tanti, nei quali cerca di migliorare la potenza e la precisione dell’altro piede. Ma non solo, perché un fuoriclasse come lui sa che per la perfezione serve una sensibilità superiore e allora si dedica a un “allenamento” molto particolare a casa sua. Una volta ogni due o tre giorni, Dybala prende un foglio di carta e prova a scrivere il suo nome tendendo la penna con il piede destro: un modo per “educarlo”, ma soprattutto per abituare il suo cervello a usarlo meglio.