“La Pacchia”: storia di Dembo Djabi e della sua integrazione nel Novarese
Dalle parole di una studentessa del Collegio don Bosco
Venerdì 22 novembre il LES (Liceo Economico Sociale) del Collegio don Bosco di Borgomanero ha ospitato Luca Ottolenghi e Dembo Djabi.
Luca Ottolenghi fa parte di un gruppo di dieci scrittori professionisti, tra i trenta e i quarant’anni, nati e cresciuti o residenti a Novara che hanno realizzato il volume NO – Dieci racconti per un nuovo immaginario novarese. Si tratta di un’antologia di dieci racconti che hanno lo scopo di definire (e ridefinire) e di inventare (e reinventare) il volto della città di Novara. Il progetto nasce dalla constatazione che negli ultimi vent’anni il mondo ha conosciuto cambiamenti epocali cha hanno investito ogni ambito, ma l’immaginario di Novara e provincia è rimasto sostanzialmente intaccato. Il racconto di Luca Ottolenghi, intitolato La pacchia, prende spunto da una storia vera, quella di Dembo Djabi, migrante senegalese giunto a Novara e ospite della 3 e 4 Les cui ha raccontato la sua storia intensa.
Di seguito le impressioni sull’incontro ad opera di Guenda Guglielmetti, studentessa di 3 Les.
Completo nero, cravatta e mocassini: la perfetta descrizione di un uomo qualsiasi in una qualsiasi giornata lavorativa. Non potevamo immaginare che quello che era seduto davanti a noi non era una persona qualsiasi vestita bene, bensì un vero e proprio sopravvissuto.
Dembo Djabi, questo è il suo nome, è un ragazzo di 21 anni che è scappato dal suo paese, il Senegal, perché non riteneva dignitoso vivere nella paura.
Il Senegal è scosso da una guerra civile in cui persone innocenti, come Dembo e la sua famiglia, rischiano ogni giorno la vita a causa degli attacchi armati e degli episodi di banditismo dei ribelli indipendentisti compiuti per le strade e nei villaggi.
Dembo ha detto basta: basta sentirsi costantemente in pericolo e non al sicuro a casa propria, nella propria patria.
Così è partito. Meta sconosciuta, forse Spagna o Francia. Mezzi di trasporto improbabili e precari, come il retro di un pick-up, un camion gremito di pecore, un container e un gommone talmente carico da imbarcare acqua. Infine, “alloggi” disumani: a Tripoli, in quello che dovrebbe essere un centro d’accoglienza, ma che a tutti gli effetti è un carcere, i migranti vengono nutriti con un misero pezzo di pane e un sorso d’acqua ogni dodici ore, fanno i turni per dormire sul pavimento (perché tutti e trecento sdraiati nella stanza non ci stanno), hanno a disposizione, come unico bagno per tutti, una latta al centro della stanza e subiscono torture fisiche e psicologiche da parte dei loro carcerieri sadici e corrotti.
Nonostante ciò, Dembo non si è mai arreso e, otto mesi dopo la fuga, il 25 dicembre 2014, dopo essere stato recuperato in mare dai soccorsi della Guardia Costiera italiana, è arrivato in Sicilia. In seguito è stato portato a Novara e accolto in una comunità per minorenni.
Il suo viaggio sembra finalmente finito: vive in un posto sicuro con altri ragazzi, impara l’italiano, riprende gli studi. Tuttavia, una volta ottenuto il permesso di soggiorno, viene obbligato dalla legge a lasciare la comunità e a trovarsi una sistemazione. Per sua fortuna, la sua professoressa di Italiano si offre, senza esitazioni, di accoglierlo a casa propria, con la propria famiglia: Dembo ha così la possibilità di terminare la scuola e di cercarsi un lavoro. A casa della professoressa, Dembo incontra lo scrittore Luca Ottolenghi, che, colpito dalla sua storia, decide di farne un racconto per l’antologia a cui sta lavorando: NO – Dieci racconti per un nuovo immaginario novarese.
Luca Ottolenghi e Dembo ci hanno presentato questo racconto, scritto a quattro mani e intitolato provocatoriamente La pacchia, grazie al quale abbiamo potuto conoscere Dembo e la sua storia. Mentre parlavano, ciò che ha colpito maggiormente me e i miei compagni è stata l’incredibile tenacia di Dembo.
Ha colpito particolarmente il sorriso che aveva quando parlava del suo futuro: Dembo ha sempre sognato di fare il medico e ancora adesso, nonostante abbia ottenuto la licenza media e frequentato il corso di formazione professionale per Operatore meccanico, ha questo desiderio. Questo ci ha fatto riflettere su come noi, molto spesso, critichiamo la scuola, reputandola un’inutile scocciatura, mentre avevamo davanti un ragazzo che darebbe di tutto per poter iscriversi all’università e avere la possibilità di studiare.
Inoltre, il fatto che Dembo abbia, momentaneamente, messo da parte il suo sogno di diventare medico pertrovare velocemente un lavoro che gli consenta di sostenere economicamente parte della sua famiglia rimasta in Senegal ci ha dimostrato il suo altruismo e ci ha fatto riflettere su come noi diamo per scontati o non apprezziamo abbastanza il denaro e le possibilità che abbiamo grazie al lavoro e al sacrificio dei nostri genitori.
Durante l’incontro, infine, mi ha colpito una frase che Dembo ha ripetuto più volte, ovvero “finchè la vita mi dà una possibilità, la devo sfruttare”. Questa frase gli ha dato la forza di andare avanti nonostante la fame, il freddo, la stanchezza, i cadaveri dei suoi compagni di viaggio. Quando noi abbiamo una possibilità spesso non ci facciamo neanche caso o tendiamo a vederla più come una cosa dovuta, ma Dembo ci ha insegnato che niente è dovuto e che tutto ciò che adesso possiede l’ha ottenuto perché ha sudato, ha lottato e non si è mai arreso davanti alle difficoltà. La sua giornata tipo oggi è tutt’altro che facile: di giorno lavora in fabbrica, di sera va a scuola, eppure sorride. Sorride: proprio quello che troppo spesso molti di noi si dimenticano di fare, presi a lamentarsi dei troppi doveri e del troppo poco tempo di svago.
Ascoltando Dembo, abbiamo capito che l’importante è vivere la vita cogliendo le opportunità offerteci e cercando di essere sempre positivi anche nelle situazioni peggiori.