La noia di Narciso
Forse abbiamo fatto l’abitudine alle notizie di cronaca di adolescenti che si tolgono la vita, a volte per motivi incomprensibili, e adolescenti che tolgono la vita a coetanei per altrettanto motivi incomprensibili o addirittura futili ai nostri occhi di adulti.
Nel maleodorante costume attuale, nello smarrimento di valori, nel disprezzo per la vita e l’esaltazione della violenza, la notizia ci trova non dico indifferenti ma siamo portati facilmente a superarla per passare oltre, ad altre nefandezze.
Mai come in questi ultimi tempi passo molte ore a dialogare e ragionare con molti genitori che si chiedono un po’ angosciati come educare i loro figli e le loro figlie, si chiedono come aiutarli a non bruciare la loro vita e quella degli altri.
Saranno famosi
Sabato scorso ho visto un puntata di un programma di adolescenti, il «saranno famosi» di qualche decennio fa e mi sono chiesto che cosa spinge questi ragazzi e ragazze a impegnarsi tanto per raggiungere i loro obiettivi? Ho constatato poi che nella mia scuola diversi ragazzi hanno risposto all’invito di partecipare alle iniziative di volontariato, al di là di tanti altri che già lo fanno per conto loro oppure sono inseriti in gruppi specifici. E mi sono chiesto: perché tutto questo non fa notizia? Perché fanno notizia solo gli adolescenti che uccidono o si uccidono dopo uno sballo del sabato sera o per un’overdose? Perché fa notizia la minoranza mentre della maggioranza silenziosa e impegnata di adolescenti nessuno parla? E tutto questo mi ha fatto ritornare all’interrogativo dei genitori: perché alcuni adolescenti giungono a compiere gesti di violenza? Perché c’è poco rispetto per la vita? E cosa fare perché questo non avvenga? Su che cosa puntare? Ho maturato due piste educative.
Una cultura dell’impegno…
Occorre imparare a valorizzare i piccoli sforzi della vita quotidiana per raggiungere un particolare obiettivo. Sono tanti i momenti della vita nei quali bisogna impegnarsi: quando si deve studiare per superare un’interrogazione, nella convivenza quotidiana con i genitori, con gli amici e le amiche, nello sforzo che si deve fare per svolgere bene il proprio lavoro e per amare il prossimo come ci ha insegnato Lui. Nessuno nasce pronto a servire. Tutti veniamo dotati di un buon DNA egocentrico. La famiglia e la scuola sono lì per costruire insieme una «cultura dell’impegno», un modo di pensare che porta a inserire nel DNA una flebo di responsabilità per catalogare velocemente e intelligentemente ciò che è più importante da ciò che piace di più. Riusciranno i nostri eroi? Certo se tutto questo non è un fatto automatico e se la famiglia non è più preoccupata di «risolvere» i problemi anziché con tanta pazienza accompagnare la fatica di ognuno perché trovi personalmente la soluzione e si guadagni la soddisfazione di essere protagonista nella conquista di piccoli e progressivi traguardi… Ma se è tutto consegnato già fatto… che noia!!!
…antidoto alla noia
Diciamolo: ma che ci manca? Il boom economico anni 60-70 ha saziato i bisogni primari. La possibilità di viaggiare ha allargato i nostri orizzonti e le nostre relazioni. La presa di coscienza moderna della dignità, libertà, autonomia, integralità dell’uomo ha esaltato senza limiti il desiderio di permettersi tutto senza privarsi di nulla. Alla fine non si sa più dove si va, tutto finisce in un presente che cambia velocemente mentre il futuro non è più preso in considerazione e il rischio di vivere soltanto se ci sono emozioni e quando non ce ne sono più… che noia!! E allora si vanno a cercare emozioni che non dicono niente, ma che servono solo a riempire il tempo facendo delle bravate: lanciare le pietre dal cavalcavia, sfidarsi in macchina a folle velocità, buttarsi da un balcone centrando la piscina sottostante, sdraiarsi sui binari e sfidarsi a chi si toglie per ultimo di fronte all’arrivo del treno… Magari una cultura dell’impegno costruita gradino per gradino sarebbe un bell’antidoto. O no?
Accettazione del limite…
Capire che nella vita non si può avere tutto. Giustamente «i cuccioli» si sentono onnipotenti nel loro egocentrismo carico di attenzione da parte degli adulti. Più si cresce più si deve prendere coscienza del proprio limite e conviverci. Occorre far capire presto che la felicità non è un diritto, che l’amore non è un bene di consumo, che si può essere rifiutati e schiaffeggiati da un no. Se si pensa che la felicità è un diritto si è portati a pretendere che sia un dovere di qualcun altro renderci felici. E quindi non si cresce in modo da imparare a sopportare la frustrazione, e si vive come degli intoccabili dalla sofferenza, dalla privazione (come il primo Siddharta) mentre tutto questo è fondamentale per diventare adulti.
…antidoto all’onnipotenza narcisistica
Occorre far capire che non si può contrattare e ottenere tutto automaticamente nella vita, come magari i figli riescono a fare con i propri genitori i quali sono più preoccupati di evitare loro le esperienze di dolore e non si preoccupano di educarli alla scoperta e accettazione del limite come via unica per diventare capaci di responsabilità. Allora leggiamo nelle cronache di uomini che giungono a gesti folli perché non possono accettare che le donne si neghino a loro non avendo mai ottenuto finora un rifiuto o semplicemente un «no». Aiutare ad accettare le piccole sconfitte per rituffarsi nella vita irrobustiti pronti a nuove sfide imparando da ogni esperienza anche da quelle negative, anche dalle sconfitte. Forse aveva ragione chi diceva che «sbagliando s’impara».
Una Comunità Educante positiva e propositiva
Che responsabilità si trova ad avere la Comunità Educante (famiglia e scuola in particolare) in questa cultura dell’effimero, dell’apparire, del «tutto è lecito, anche il contrario», del presentismo consumistico «usa e getta», di quella che viene definita «onnipotenza di narciso»… E allora si capisce l’importanza di costruirla questa benedetta Comunità formando gli educatori innanzitutto. Non è un pallino di qualcuno la cosiddetta «formazione permanente» che invita a rimanere sempre in fase di formazione. Si capisce anche quanto sia importante il ricupero in questo discorso della formazione dei genitori. Una volta i genitori mettevano le fondamenta e la scuola continuava a costruire su quanto la famiglia aveva già consegnato. Se la famiglia è assente o addirittura «alleva piccoli cuccioli» superadorati, superprotetti e anche superannoiati… parlare di impegno, parlare di accettare la sfida della sconfitta e di autoaccettarsi nei propri limiti… diventa una sfida esaltante. Si può costruire la Comunità se, da una parte, si mastica insieme «positività» e non solo ci si lagna di quello che non va e ci si nasconde dietro la fatica educativa come se non fosse mai esistita ma fosse una scoperta dei nostri giorni, e dall’altra tanta «propositività» senza gettare mai la spugna ma prendendo in mano la situazione e sprecando meno tempo a discutere sui dettagli organizzativi e investire in condivisione sulla conoscenza dei ragazzi, del loro mondo, della loro fatica a conquistarsi una identità in un mondo individualistico dove è sempre più difficile diventare «individui».