LA GIOIA: un dono da accogliere

Terza domenica di Avvento

Che cosa chiede l’uomo alla vita se non la felicità? La Bib­bia ebraica impiega qualcosa come ventisette sinonimi per esprimere i sentimenti di gioia. Nulla di più contrario alla Bibbia dunque della religione del dolorismo, della musone­ria, delle facce corrucciate che s’intravvedono a volte anche nelle nostre assemblee domenicali.

Ma come giungere alla gioia? Bastano la ricchezza, la buona salute, il successo? Chi può essere considerato realmente beato?

A questa domanda l’israelita dei tempi più remoti rispon­deva: felice è colui che gode dei frutti del suo campo (Is 9,2), che rallegra il suo cuore con il vino (Gdc 9,13), che ha una famiglia unita (Dt 12,7) e prole numerosa (1Sarn 2,1.5); fe­lice è il popolo che ottiene una vittoria militare (1Salmo 18,6), che contempla la propria città ricostruita (Ne 12,43), che festeggia con inni, musiche e danze gli abbondanti raccolti che Dio gli ha concesso (Dt 16,11.14). Tutto questo — Io sappiamo — non basta.

Con le nostre scaltrezze, i nostri accorgimenti, i nostri sforzi possiamo sì raggiungere l’allegria, il buon umore, l’eu­foria, l’ilarità, il piacere, il divertimento, ma non la gioia.

Questa è frutto dello Spirito e noi possiamo soltanto acco­glierla, come un dono. Possiamo, però, frapporre ostacoli: le letture di oggi ci aiuteranno a identificarli per poterli rimuovere.