I sei verbi della misericordia

(Leo Buscaglia, scrittore e pedagogista italo americano)

Nella ‘Parabola del Padre misericordioso’ ci sono sei verbi che fanno vedere in diretta lo stile della misericordia. Dopo aver presentato il primo (“Lo vide”), passiamo al secondo (“Si commosse”).

Non appena vede il figlio che sta ritornando a casa, il padre sente vibrare il cuore e si commuove.

Stupendo! Quando parliamo di commozione non solo siamo ad un punto centrale della misericordia, ma della stessa arte pedagogica. Una cosa è certissima: chi è freddo, insensibile, invernale, non può educare. Il cervello non basta, ci vuole cuore; la tecnica non è sufficiente, ci vuole pietà.

È vero che è la ragione che fa l’uomo, ma è il sentimento che lo guida. Lo psichiatra Eugenio Borgna racconta: “Una mia paziente rifiutava il cibo. Stava male. Riprese a mangiare quando trovò una rosa rossa accanto al piatto di riso”. È bastato un fiore per raddrizzare una situazione. È sempre così: l’attenzione e la tenerezza sono terapeutiche per natura loro.

Un medico esperto in etilismo lo conferma: “La maggioranza degli alcolizzati si sono abbandonati al vizio del bere per superare un turbamento infantile, per cancellare una ferita che si è aperta e non si è più rinchiusa. Si attaccano al collo della bottiglia perché non hanno potuto attaccarsi al collo della mamma!”.

Cinque proposte concrete

Che cosa dobbiamo fare, perché la commozione del padre misericordioso della parabola arrivi a casa nostra e qualifichi il nostro modo di educare? Ci limitiamo a cinque proposte concrete.

1. Coccoliamo!

Coccolare non è viziare. Coccolare è baciare l’anima. Lo sostengono tutti: cinque secondi di carezze comunicano più amore che cinque minuti di parole. D’altronde non può essere che così: le coccole sono il più ricco nutrimento affettivo che abbiamo a disposizione. Così ricco che la psicologa Kathleen Keating è arrivata a stilare questa legge: “Quattro abbracci al giorno per la sopravvivenza. Otto abbracci al giorno per sopravvivere. Dodici abbracci al giorno per crescere”.

2. Proteggiamo la sera

La sera è il momento più adatto per la commozione. Di sera è più facile avere pensieri miti, pensieri di pace. C’è nell’aria voglia di calore, di affetto, di stringersi insieme, di commuoversi, appunto. La sera abolisce le distanze, fa dimenticare le impazienze e le sgridate della giornata.

Don Bosco, che di educazione si intendeva, ha capito che le ore della sera sono importanti. Per questo ha voluto la ‘Buona notte’, cioè quel discorsetto affettuoso che nelle case salesiane il direttore rivolge alla sua ‘famiglia’ per chiudere la giornata. Don Bosco sapeva che le parole che i genitori dicono ai figli, prima che scivolino nel sonno, aggiustano i cuori.

3. Facciamo carezze al cervello del figlio

Anche questa è una magnifica via per mostrargli la nostra tenerezza. Carezze al cervello sono le parole positive, incoraggianti, balsamiche. “Ci piaci come sei!”. “Siamo orgogliosi di te!”. “Abbiamo un figlio meraviglioso!”… Queste son parole di seta che riscaldano anche quando i termosifoni sono spenti.

4. Controlliamo il tono della voce

Il ‘tono’ – lo sappiamo tutti – non è il ‘volume’, non è il ‘timbro’. Il ‘volume’ è legato alla capacità polmonare, il ‘timbro’ dipende dal corredo genetico proprio di ciascuno. Il ‘tono’ è il calore e il colore che immettiamo nelle parole che diciamo. Ebbene, il tono può comunicare mille sentimenti.

Lo sanno benissimo le mamme che, per questo, parlano al loro bambino, fin dai primissimi giorni, con voce dolce, affettuosa, tenera, lieve, calda, accogliente, rassicurante.

5. Coinvolgiamo i figli

I nostri ragazzi troppe volte sono aridi perché non conoscono la vita nei suoi vari momenti: sereni e nuvolosi, gioiosi e dolorosi. Ecco perché coinvolgere il figlio in tutte le situazioni dell’esistenza umana è una delle strategie più sicure per innalzare il livello emotivo (“Si commosse”) in famiglia.

In concreto:

• Non vergogniamoci a farci vedere emozionati: ridiamo e rattristiamoci tranquillamente senza temere il giudizio degli altri.
• Perché non portare il figlio in ospedale a vedere la nonna che sta male?
• Perché non mostrarci anche piangere?

Cristo stesso ha pianto almeno due volte (Lc 9,41; Gv 11,35). Chi piange dimostra di scendere dal piedistallo, dimostra d’avere un cuore ben fatto. Le lacrime sono le emozioni (siamo sempre in tema: ‘si commosse’!) in bella vista.

Cinque semplici consigli che portano in casa quegli intensi sentimenti senza i quali non si vive da uomini, ma da orsi.

RIDERE E PIANGERE

“A ridere c’è il pericolo di apparire sciocchi. E con ciò? Dico spesso che la gente mi considera un po’ matto. Ma io mi diverto un mondo, mentre le persone sane di mente muoiono di noia.
A piangere c’è il pericolo di apparire sentimentali.

Io non ho paura di piangere: piango sempre. Piango per la gioia, piango per la disperazione. Piango quando vedo gli altri felici. Piango quando vedo due che si amano. Non mi importa se appaio sentimentale. Mi pulisce gli occhi!

A mostrare i vostri sentimenti c’è il pericolo di mostrare la vostra umanità. Bene, sono lietissimo di rivelare la mia umanità! Ci sono cose ben peggiori della mia umanità!”