I giovani che lasciano la casa e provano la vita comunitaria
Fonte: Avvenire, di Alessandra Smerilli Sergio Massironi, martedì 19 febbraio 2019
Coabitazione, architettura, spiritualità: si diffondono nelle diocesi italiane le esperienze di una «nuova famiglia» Un grande cantiere sempre aperto
rovare una proposta educativa che scommetta sulla coabitazione è abbandonare la precedente area di comfort Come nei vangeli, quindi, dovrà esistere un lasciare concreto e profetico i legami di sangue per dire: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre»
Uscire dall’abitazione dei genitori e intraprendere la propria strada: nuovi percorsi Uscire di casa ha la valenza di un rito di passaggio, quasi di un’iniziazione alla responsabilità. Fino a qualche decennio fa, il servizio militare obbligatorio portava dalla giovinezza spensierata all’età delle scelte definitive. Non lo stesso per il mondo femminile: quel modello non prevedeva pari opportunità. Di fatto, le ragazze passavano a un’altra casa quando il padre le consegnava al marito per formare una nuova famiglia. Anche oggi il simbolo dell’uscita si rivela propulsivo dell’azione e del cambiamento, ma diviene necessario immaginare come i giovani trovino una casa diversa da quella di origine. Il documento finale dell’ultimo Sinodo contiene in tal senso delle indicazioni da raccogliere con un certo coraggio. Al n. 138 l’immagine della casa appare più di una metafora: «L’anelito alla fraternità, tante volte emerso dall’ascolto sinodale dei giovani, chiede alla Chiesa di essere ‘madre per tutti e casa per molti’ (Francesco, Evangelii gaudium, n. 287): la pastorale ha il compito di realizzare nella storia la maternità universale della Chiesa attraverso gesti concreti e profetici di accoglienza gioiosa e quotidiana che ne fanno una casa per i giovani ». Come nei vangeli, quindi,
dovrà esistere un lasciare concreto e profetico i legami di sangue per dire: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre» (Mc 3, 34-35). Non si tratta della chiamata alla vita religiosa, ma della transizione a una quotidianità cristiana: «In un mondo frammentato che produce dispersione e moltiplica le appartenenze, i giovani hanno bisogno di essere aiutati a unificare la vita, leggendo in profondità le esperienze quotidiane e facendo discernimento» (n. 141).
Si diffondono nelle diocesi italiane diverse esperienze di vita comune. Nonostante la breve durata – alcuni giorni, al massimo qualche settimana – non mancano i segni della loro efficacia. Ne parla così Anna, 21 anni: «L’esigenza di stare assieme forse è la cosa che…
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