I 6 verbi della misericordia

Continuiamo a scavare in quella che è forse la più preziosa parabola di Cristo: la parabola del ‘Padre misericordioso’ (la si può leggere nel quindicesimo capitolo del Vangelo di san Luca).

In essa troviamo sei mosse (sei verbi) che ci fanno vedere in diretta che cosa significhi impostare l’educazione sulla misericordia.
Dopo aver presentato i primi due verbi (“Lo vide” e “Si commosse”) passiamo al terzo.

3. “Gli corse incontro”

Nel mondo orientale non era dignitoso per un anziano mettersi a correre. Eppure il padre non appena intravede il figlio, si alza e a passo veloce gli va incontro. È l’amore che gli fuoriesce e lo fa scattare. Anche questo è un punto centrale della misericordia.

Essere misericordioso significa essere attratto dagli altri, come la calamita è attratta dal ferro. Essere misericordioso significa non appartenere a se stessi, ma a chi è nel bisogno.
Possiamo dire che i genitori misericordiosi non sono ‘egocentrici’, ma ‘allocentrici’: centrati sul figlio.

Parole densissime, che vanno interpretate bene. Essere centrati sul figlio non significa eleggerlo a capo famiglia. Sarebbe un errore gravissimo. Lo sottolinea con chiarezza la famosa psicanalista francese Françoise Dolto (1908-1988): “Niente è peggio per un bambino che avere la sensazione che suo padre e sua madre siano completamente dediti a lui”.

Sono esageratamente centrati sul figlio i genitori che, ad esempio, lasciano che sia lui a scegliere che cosa si mangia a cena; che sia lui a determinare quale tipo di auto comprare, che sia ancora lui a condizionare il luogo della vacanza. Essere attratti dal figlio, non significa neppure dedicargli tutti i nostri pensieri, tutto il nostro tempo. Anche questo sarebbe un grave sbaglio. Non c’è matrimonialista che non metta in guardia, soprattutto le neomamme, dal lasciarsi rubare tutta l’attenzione, tutta la concentrazione dal figlio, sottraendo, in tal modo, l’affetto e l’amore al marito. Perché il matrimonio sia piacevole e duri, i competenti ci dicono che è indispensabile che marito e moglie si ritaglino, ogni giorno, un congruo spazio di tempo per guardarsi, parlarsi, amarsi.
Essere attratti dal figlio non significa neppure soddisfare tutti i suoi capricci. Le pesanti conseguenze dell’attuale educazione troppo morbida sono così macroscopiche (ragazzi mollicci, friabili, con la grinta della mozzarella) da obbligarci a dire che i genitori troppo morbidi sono quelli che fanno le peggiori ingiustizie al figlio.

Che cosa significa allora andare incontro al figlio, essere da lui attratti come il padre della parabola? La risposta è breve: andare incontro al figlio, essere centrati sul figlio significa soddisfare i suoi reali bisogni cioè i suoi diritti (tali sono, infatti, i veri ‘bisogni’ del figlio, e non già ‘capricci’).

I veri bisogni dei figli

Tutti i bambini che approdano sul pianeta Terra hanno tre bisogni (tre diritti) assoluti: il bisogno di appartenenza, il bisogno di pace, il bisogno di vedere Uomini riusciti (bisogno di ‘adultità’).

Bisogno di appartenenza

Proprio ora, mentre state leggendo questa riga, nascono al mondo da tre a quattro bambini.

Ebbene, se subito i neonati potessero parlare, direbbero: «Non siamo pietre: non ci basta esistere!» «Non siamo piante: non ci basta respirare!» «Non siamo animali: non ci basta mangiare!» «Siamo persone umane: abbiamo bisogno di essere nel cuore e negli occhi di qualcuno!».

Nessuno ama essere figlio di nessuno. Questo è il bisogno di appartenenza. I genitori che accettano pienamente il figlio anche se non risponde alle loro attese; i genitori che lo avvolgono di tenerezze e che lo nutrono soddisfano il primo bisogno del figlio. Sono saggiamente centrati su di lui.

Bisogno di pace

Per il bambino ogni forma di dissidio, di tensione è insopportabile. La psicologa Jacqueline Renaud non ha dubbi: «Se tra i genitori vi è tensione, mancanza di dialogo, il bambino sovente lo sente prima dei protagonisti».

È la prova che il bisogno di pace in famiglia è un secondo bisogno assoluto. Un sapiente proverbio africano recita: «Quando due elefanti si combattono, chi ci rimette è l’erba del prato».
Non solo nel caso del piccolo, ma sempre, soprattutto nell’adolescenza, le tensioni familiari sono causa di sofferenza.

Bisogno di adultità

Chi non vede adulti (cioè uomini “cresciuti”, come significa, appunto, la parola “adulto”) non può maturare. L’uomo, infatti, cresce solo all’ombra dell’uomo, non delle cose. Insomma, chi vede solo bonsai, non potrà mai diventare sequoia.

È una legge pedagogica indiscutibile.

Ecco perché il diritto a vedere i propri genitori cresciuti è il primo diritto del figlio. Se ciò non avviene, il bambino non potrà mai diventare ‘grande’, ma dovrà limitarsi a diventare ‘grosso’.
In altre parole, il figlio che non vede ‘adulti’ è trattato (sia pure senza che ce ne rendiamo conto) da animale (al quale basta diventare ‘grosso’) e non da uomo. Questo è il peggior danno che i genitori possano fare al figlio.

Questi sono i tre diritti fondamentali del figlio che i genitori davvero centrati su di lui rispettano, per non rubargli la vita che gli hanno donato. Il padre della parabola che corre incontro al figlio, riconoscendolo tale (bisogno di appartenenza) il padre che gli riporta la pace nel cuore (bisogno di serenità) il padre che, proprio andandogli incontro, mostra un’alta maturità (bisogno di adultità). Il padre della parabola ancora una volta ci fa da maestro nell’arte di educare.

I PROVERBI DEL PAPÀ

  • Come canta l’abate, così risponde il frate.
  • In casa non c’è pace, se la gallina canta e il gallo tace.
  • Marito innamorato sa fare anche il bucato.
  • Il leopardo non perde le chiazze del padre (Marocco).
  • Famiglia a metà, se non c’è papà.
  • Se il padre fa carnevale, ai figli tocca fare la quaresima.
  • I passi del padre sono l’andatura del figlio.