Guardiamo i giovani con gli occhi di Dio
Fonte: Avvenire, di Alessandra Smerilli e Sergio Massironi mercoledì 3 ottobre 2018
L’ultima tappa del nostro viaggio con «Destinazione Sinodo» si conclude nel giorno in cui l’assemblea viene aperta dal Papa
L’ultima tappa del nostro viaggio con «Destinazione Sinodo» si conclude nel giorno in cui l’assemblea viene aperta dal Papa (ma altre riflessioni tematiche seguiranno nei giorni dei lavori) con un dialogo sui grandi temi sinodali tra suor Alessandra Smerilli, che partecipa all’assise in qualità di uditrice, e don Sergio Massironi, giovane sacerdote milanese responsabile degli oratori di Cesano Maderno e insegnante di liceo.
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Ci sono tanti modi in cui possiamo guardare ai giovani. Il Sinodo dei vescovi che inizia oggi ha il merito di avere attivato i nostri sguardi e ora induce la Chiesa a far sintesi attraverso l’ascolto, la preghiera, lo scambio. Discernere è, infatti, un esercizio in cui quanto ciascuno ha visto diviene racconto e reciproca contaminazione, alla ricerca di ciò che Dio ha in serbo. Qual è il modo divino di vedere i giovani? Quanto le nostre visioni ci condurranno vicino alla sua? Avremo il coraggio di ripensare la Chiesa, cioè anzitutto noi stessi, per servire uno sguardo migliore del nostro?
Suor Alessandra Smerilli. La frase che sento più spesso nei convegni e nelle occasioni in cui si parla di giovani è: ‘Però c’è del buono’. In una lettura generalmente negativa – sono incostanti, fragili, sregolati, bruciano le tappe, incapaci di assumersi responsabilità… – si indicano alcuni segni positivi: allora ‘c’è del buono’, e spesso quel buono è ciò che più si avvicina alle nostre consuetudini e ai nostri valori. Ora, posso forse immaginare che Dio mi guardi, mi scruti, e con un sospiro infine sentenzi: ‘Però c’è del buono’? Può essere il Dio che di fronte all’essere umano gioì perché era cosa molto buona (Gen 1,31)?
Don Sergio Massironi. No, non può essere lo stesso Dio. Specie dove il retrogusto è amaro e prevalgono lo sconcerto e la sfiducia da cui è tentata ogni generazione in rapporto al nuovo. Il fatto è questo: avvertiamo uno scarto, che in rapporto ai bambini riusciamo a dominare perché richiedono cura e si affidano a noi adulti, ma che con la maggiore età ci mette in crisi. Sono adulti, infatti, anche quelli che chiamiamo giovani, ma in una fase della vita più libera, viva e aperta della nostra: l’overture. Hanno una prestanza fisica, oltre che un’elasticità mentale, che abbiamo smarrito o che alla loro età ci pare di non aver avuto. Quel che, guardandoli, chiamiamo disordine è spesso la bellezza che ci manca, la parte di noi con cui più difficilmente siamo disposti a entrare in contatto. Nella pastorale preferiamo allora essere indaffarati con altre età, perché i giovani incarnano la domanda: ‘Che cosa hai fatto di te?’. La bellezza dei giovani è un’enorme provocazione, un terremoto da accettare.
Suor Alessandra. Non si può stare con loro senza cambiare qualcosa di noi. Forse vediamo caos, vita un po’ disordinata, tanti interessi, poca stabilità, ma in fondo la redenzione è proprio un risalire all’ordine, una progressiva scoperta della propria originalità facendo tesoro anche di sbandamenti, contraddizioni, cadute. Oggi è evidente che non possiamo più immaginare l’educazione – almeno quella che vorremmo – come una via retta, un percorso lineare in cui al ragazzo sono idealmente tolte le esperienze negative, quasi a risparmiargli la libertà.
Don Sergio. Sarebbe prezioso recuperare il paradigma dell’uscita, dell’esodo. Dio vede i millennials come sue creature, ed è certo che possano arrivare a cogliere la propria parola, quella che quaggiù nessuno ha ancora pronunciato, perché era in serbo per loro. D’altra parte ciò avverrà in movimento, attraverso notti di liberazione e anni di deserto non privi di segni, di prove e di esperienze normative. A noi educatori occorre non dimenticare, da un lato, che…
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