Gli stranieri tra i banchi. Ongini: «L’integrazione? Comincia a scuola»

Fonte: Avvenire, di Viviana Daloiso, domenica 8 settembre 2019

Il maestro, esperto del Miur, presenta in un libro i progetti che funzionano, come le “Lettrici itineranti” delle Langhe

C’è Ousmaina, il volto incorniciato dal velo e le dita affusolate che stringono La luna e i falò di Cesare Pavese. Lo legge – col suo accento italo-arabo – , nella casa di riposo di Nizza Monferrato e intanto si domanda delle vigne, dell’America, della Liberazione.

Cose che non conosce e che a lei, marocchina di origine, a sua volta vengono raccontate dagli ottantenni che ha davanti, durante le pause. Nelle Langhe sono cinque le “Lettrici itineranti”, tre sono arabe: il progetto voluto dal Comune, e realizzato non solo per gli anziani ma anche per i bambini dell’asilo, ha l’obiettivo di mettere insieme mondi lontani, superando paure e pregiudizi. Così, nel cuore multietnico della provincia piemontese, si prova (e si riesce) a fare intercultura. Vallo a spiegare a Palazzo – dove la retorica politica di volta in volta attenta o contraria alla diversità si riempie la bocca di “teorie” e di “indirizzi” – che la scuola italiana ogni giorno raccoglie la sfida di 850mila studenti stranieri in carne e ossa nelle sue classi. Da trent’anni, su questa frontiera, si muove appassionato Vinicio Ongini, prima maestro, poi esperto presso la Direzione generale per lo studente del Miur, anima e braccio dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione e l’educazione interculturale, in particolare del Gruppo di lavoro sulle scuole nelle periferie urbane interculturali. Alle stampe ha appena consegnato l’ultimo dei suoi viaggi nel Paese reale – quello dei progetti che funzionano e degli insegnanti ancora capaci di sognare – intitolato La grammatica dell’integrazione (Laterza, pagine 161, euro 16).

Cosa significa intercultura e a che punto siamo con l’integrazione nella scuola italiana?

Il ministero della Pubblica istruzione italiano ha utilizzato per la prima volta questo termine in un documento del 1990. Ma la manutenzione dei «buoni» principi – ovvero l’idea dello scambio tra diversità e della possibilità di guadagnare dalle diversità traducendole in un vantaggio per tutti – è stata intermittente e per così dire distratta. Non sempre cioè alle indicazioni e raccomandazioni hanno fatto seguito azioni e attività coerenti, sostenute da risorse, programmi di formazione e valutazioni sull’efficacia, l’utilità, il senso delle pratiche. Negli anni tuttavia sono maturate esperienze coraggiose, per certi versi visionarie…

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