GENNAIO: don Bosco, il “nostro” santo, Padre e Maestro dei giovani
Cari genitori e cari docenti,
Domenica 31 gennaio è la festa di don Bosco, il “nostro” santo, Padre e Maestro dei giovani.
Anche questa nostra bella occasione di festa sarà celebrata quest’anno in sordina.
I ragazzi la celebreranno venerdì 29 secondo le iniziative che si stanno organizzando in questi giorni. Domenica poi in chiesa. Aggiungeremo una messa alle 10, oltre quelle di orario (sabato sera 17.30 e domenica 9, 11.15, 17.30).
L’invito a voi tutti di vivere questa festa senza perderci l’occasione di ringraziare don Bosco per tutto quello che ha fatto e continua a fare attraverso i suoi successori!
Vi ricordo solo qualche sua espressione piena di amore per i giovani per aiutare tutti noi adulti, educatori e genitori, a stare loro vicino in questo momento difficile per tutti, ma per loro di più, e soprattutto per non farli appiattire sul divano o davanti al computer in continuazione.
DON BOSCO È INNANZITUTTO PADRE
Lui, rimasto senza padre già a 2 anni, trova tanti ragazzi senza padre e diventa il loro padre e fornisce innanzitutto il pane (anche lui aveva sofferto la fame) e fornisce il lavoro (diventa il primo sindacalista) e poi offre una fede essenziale e piena di vita uscendo dal giansenismo dell’epoca (rigidità e penitenza) e invitando non a fare penitenza ma a fare il proprio dovere.
Nella cappella Pinardi, la prima chiesetta di Valdocco, campeggia l’immagine della Risurrezione e non la morte, perché don Bosco regala ai suoi ragazzi il Dio della vita, il Dio della misericordia, secoli prima dell’arrivo di Papa Francesco!
DON BOSCO È MAESTRO
E ci ricorda che si insegna quello che si è, prima di quello che si sa e di quello che si fa. E che tutto quello che chiediamo ai giovani dobbiamo farlo noi prima.
1 – ACCOGLIENZA INCONDIZIONATA:
«Mi basta sapere che siete giovani perchè io vi ami assai!».
2 – FELICITA’:
«Lettera da Roma» del 1884: «Miei carissimi figlioli in Gesù Cristo, vicino o lontano io penso sempre a voi. Uno solo è il mio desiderio, quello di vedervi felici nel tempo e nell’eternità».
«Miei cari giovani, difficilmente potrete trovare chi più di me vi ami in Gesù Cristo, e chi più desideri la vostra vera felicità».
«Noi facciamo consistere la santità nello stare molto allegri».
3 – FARE IL PROPRIO DOVERE:
«Io per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo, per voi sono disposa anche a dare la vita».
Non solo ma: «Nella cose che tornano a vantaggio della pericolante gioventù o servono a guadagnare anime a Dio, io vado avanti fino alla temerità».
Il suo primo collaboratore, Michele Rua dirà di lui: «Non diede passo, non pronunciò parola, non mise mano ad impresa, che non avesse di mira la salvezza della gioventù… Realmente non ebbe a cuore altro che le anime».
4 – AMORE:
«Non basta amare i giovani. Occorre che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi si accorgano di essere amati».
«E che essendo amati in quelle cose che loro piacciono, imparino a vedere l’amore in quelle cose che naturalmente loro piacciono poco».
«Negli antichi tempi dell’Oratorio lei stava sempre n mezzo ai giovani e l’affetto era quello che ci serviva di regola».
«Senza familiarità non si dimostra affetto e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza». «Chi sa di essere amato ama e chi è amato ottiene tutto specialmente dai giovani».
«Studia di farti amare!». È tutto qui.
Uno scrittore contemporaneo, Andrea Temporelli, così commenta:
Studia il modo di farti amare. Questo è l’invito che mi è sempre stato rivolto dai salesiani. Eppure, molti insegnanti preferiscono essere temuti, hanno bisogno di rimarcare il distacco rispetto alla classe, guardano con sospetto ai colleghi “piacioni”, che magari considerano flaccidi a livello educativo. Perché la vita è dura e la scuola, oggi come oggi sempre meno selettiva, coccola troppo i suoi studenti.
Ma “farsi amare” non significa compiacere. Significa calarsi nell’ottica dell’assistenza salesiana nei tempi informali, per costruirsi un ruolo autorevole “all’interno” del gruppo dei ragazzi. Significa conquistarsi la fiducia mostrandosi nella propria umanità a 360 gradi, magari anche attraverso qualche difetto, qualche piacevole imperfezione.
Ciò accresce il senso di fiducia nei ragazzi, che possono rispecchiarsi in un modello di adulto significativo, ma nel contempo reale, non idealizzato. Nutre la confidenza, che in un’età delicata di crescita è fondamentale in determinati frangenti. E attraverso un rapporto empatico l’osservazione dei ragazzi in momenti diversi dall’attività in classe si rivela spesso una risorsa straordinaria: “Il vero giovane si vede in ricreazione ed in refettorio…”, ammoniva Don Bosco. Se poi riesci a condividere con loro qualche passione o anche soltanto costruire una dinamica ludica, se riesci a far percepire loro che per te è interessante ciò che interessa loro, essi a loro volta saranno portati a considerare in una luce nuova i contenuti che l’adulto propone.
Nell’ottica salesiana assistenza significa presenza che anima attraverso il dialogo, capacità di proporsi come punto di incontro. Se un insegnante che scende in cortile è istintivamente scansato dagli alunni, come si può pretendere che in aula riesca ad attirarli a sé?
E va anche precisato che c’è timore e timore. Anche un padre amorevole si teme. Quando infatti don Bosco lanciava il suo invito a “guadagnarsi il cuore” dei ragazzi, non dimenticava affatto il senso di rispetto che proprio questo moto di simpatia giustifica e rafforza.
All’inizio, anzi, è facile osservare come un bravo insegnante in aula sia cercato anche in cortile, ma quando non avviene alcun incontro a livello informale, la delusione, più o meno consapevole, scaverà nell’alunno un senso di distacco.
“I professori non chiedevano mai se eravamo felici…”, canta Luca Carboni.
Auguri a tutti di vivere questa festa spartana e senza fronzoli per ritornare all’essenziale che don Bosco ci ha lasciato: mi basta sapere che siete giovani perché io vi ami!
Buona festa e che la Madonna Ausiliatrice ci benedica tutti.
Don Giuliano