GENNAIO: la speranza

Cari genitori, docenti ed educatori,

spero abbiate iniziato alla grande il 2024 e quindi BUON ANNO a tutti voi!

Nel periodo natalizio e in questi primi giorni del nuovo anno ho meditato a lungo e mi sono chiesto che cosa tenere acceso affinché il nostro mondo non precipiti nelle tenebre ancora più di quanto non lo sia già con guerre e violenza a volontà.

Mi ha ispirato questa storiella che mi fa piacere condividere con voi.

LA SPERANZA – NON MUORE MAI, ANZI…

Quattro candele, bruciando, si consumavano lentamente. La prima diceva: «Io sono la PACE, ma gli uomini non mi vogliono: penso proprio che non mi resti altro da fare che spegnermi». Così fu. A poco a poco la candela si lasciò spegnere lentamente … La seconda disse: «Io sono la FEDE, ma purtroppo non servo a nulla: gli uomini non ne vogliono sapere di me, non ha senso che io resti accesa». Appena ebbe terminato di parlare una leggera brezza soffiò su di lei e la spense. Triste, triste, la terza candela a sua volta disse: «Io sono l’AMORE, ma non ho la forza per continuare a rimanere accesa: gli uomini non mi considerano e non comprendono la mia importanza. Troppe volte preferiscono …» e senza attendere oltre si lasciò spegnere. Un bimbo in quel momento entrò nella stanza e vide le tre candele spente. «Ma cosa fate! Voi dovete rimanere accese, io ho paura del buio!» e così dicendo scoppiò in lacrime. Allora la quarta candela, impietositasi disse: «Non temere, non piangere! Finché io sarò accesa, potremo sempre riaccendere le altre tre candele: io sono la SPERANZA!». Con gli occhi lucidi e gonfi di lacrime il bimbo prese la candela e riaccese tutte le altre.

 Il CENSIS nel rapporto annuale del 1 dicembre 2023 definisce così gli italiani:

«I sonnambuli: ciechi dinanzi ai presagi. Alcuni processi economici e sociali largamente prevedibili nei loro effetti sembrano rimossi dall’agenda collettiva del Paese, o sono comunque sottovalutati. Benché il loro impatto sarà dirompente per la tenuta del sistema, l’insipienza di fronte ai cupi presagi si traduce in una colpevole irresolutezza».

 Mi chiedo se noi adulti non stiamo tirando su un mondo di sonnambuli preoccupati di dare ai nostri giovani tutto (soddisfacendo i loro desideri ancora prima che li esprimano) anziché consegnare loro sogni perché possano uscire dal disorientamento e avere la visione di un futuro da costruire tenendo conto proprio dei “presagi”. Altro che spegnere i loro desideri! Lo diceva già il profeta Joele (3,1): «Effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni». Abbiamo consegnato qualche sogno in questo periodo natalizio e di inizio anno nuovo?

E allora, con la speranza, riaccendiamo la seconda candelina.

Mi piace molto questo episodio che vi riporto perché esprime chiaramente il senso dell’”amare il prossimo come noi stessi”, non accontentandosi di dare qualcosa ogni tanto quasi per crearsi un alibi, ma puntando al cuore perché l’amore è tale solo se costruisce relazione e restituisce dignità a chi è scartato. Ecco l’episodio.

L’AMORE – REGALARE QUALCOSA AL CUORE…

«Il poeta tedesco Rainer Maria Rilke abitò per un certo periodo a Parigi. Per andare all’Università percorreva ogni giorno, in compagnia di una sua amica francese, una strada molto frequentata.

Un angolo di questa via era permanentemente occupato da una mendicante che chiedeva l’elemosina ai passanti. La donna sedeva sempre allo stesso posto, immobile come una statua, con la mano tesa e gli occhi fissi al suolo.

Rilke non le dava mai nulla, mentre la sua compagna le donava spesso qualche moneta. Un giorno la giovane francese, meravigliata domandò al poeta: “Ma perché non dai mai nulla a quella poveretta?”.

“Dovremmo regalare qualcosa al suo cuore, non alle sue mani”, rispose il poeta. Il giorno dopo, Rilke arrivò con una splendida rosa appena sbocciata, la depose nella mano della mendicante e fece l’atto di andarsene.

Allora accadde qualcosa d’inatteso: la mendicante alzò gli occhi, guardò il poeta, si sollevò a stento da terra, prese la mano dell’uomo e la baciò. Poi se ne andò stringendo la rosa al seno.

Per una intera settimana nessuno la vide più. Ma otto giorni dopo, la mendicante era di nuovo seduta nel solito angolo della via. Silenziosa e immobile come sempre.

“Di che cosa avrà vissuto in tutti questi giorni in cui non ha ricevuto nulla?”, chiese la giovane francese.

“Della rosa”, rispose il poeta».

Riaccendiamo la terza candelina.

Riporto ora alcuni passaggi del discorso di fine anno del Presidente Mattarella contro la violenza come nemica principale della pace.

LA PACE – «CIÒ CHE MI SPAVENTA NON È LA VIOLENZA DEI CATTIVI MA L’INDIFFERENZA DEI BUONI», diceva M.L.King.

«Pace, nel senso di vivere bene insieme. Rispettandosi, riconoscendo le ragioni dell’altro. Consapevoli che la libertà degli altri completa la nostra libertà.

Vediamo, e incontriamo, la violenza anche nella vita quotidiana. Anche nel nostro Paese. Quando prevale la ricerca, il culto della conflittualità. Piuttosto che il valore di quanto vi è in comune; sviluppando confronto e dialogo.  

La violenza. Penso a quella più odiosa sulle donne. Vorrei rivolgermi ai più giovani. Cari ragazzi, ve lo dico con parole semplici: l’amore non è egoismo, dominio, malinteso orgoglio. L’amore – quello vero – è ben più che rispetto: è dono, gratuità, sensibilità.

Penso anche alla violenza verbale e alle espressioni di denigrazione e di odio che si presentano, sovente, nella rete. Penso alla violenza che qualche gruppo di giovani sembra coltivare, talvolta come espressione di rabbia. Penso al risentimento che cresce nelle periferie. Frutto, spesso, dell’indifferenza; e del senso di abbandono.

Penso alla pessima tendenza di identificare avversari o addirittura nemici. Verso i quali praticare forme di aggressività. Anche attraverso le accuse più gravi e infondate. Spesso, travolgendo il confine che separa il vero dal falso.»

E a proposito di indifferenza, come forma passiva di violenza, cito questo episodio.

«Un giorno, ad un luminare della medicina venne chiesto quale fosse la più grave malattia del secolo. I presenti si aspettavano che dicesse il cancro o l’infarto.
Grande fu lo stupore generale quando lo scienziato rispose: “L’indifferenza!
Tutti allora si guardarono negli occhi e ognuno si accorse di essere gravemente ammalato. Infine gli domandarono quale ne fosse la cura.
E lo scienziato disse: “Accorgersene!”».

Riaccendiamo la quarta candelina.

Anche qui vi regalo una citazione, una classica storiella orientale.

LA FEDE – FIDARSI COME IN UN FIDANZAMENTO MOZZAFIATO

«Questa notte ho fatto un sogno, ho sognato che ho camminato sulla sabbia accompagnato dal Signore e sullo schermo della notte erano proiettati tutti i giorni della mia vita. Ho guardato indietro e ho visto che ad ogni giorno della mia vita, apparivano due orme sulla sabbia: una mia e una del Signore. Così sono andato avanti, finché tutti i miei giorni si esaurirono. Allora mi fermai guardando indietro, notando che in certi punti c’era solo un’orma… Questi posti coincidevano con i giorni più difficili della mia vita; i giorni di maggior angustia, di maggiore paura e di maggior dolore. Ho domandato, allora: “Signore, Tu avevi detto che saresti stato con me in tutti i giorni della mia vita, ed io ho accettato di vivere con te, perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti più difficili?”. Ed il Signore rispose: “Figlio mio, Io ti amo e ti dissi che sarei stato con te e che non ti avrei lasciato solo neppure per un attimo: i giorni in cui tu hai visto solo un’orma sulla sabbia, sono stati i giorni in cui ti ho portato in braccio”».

Augurandovi buon anno, vi invito a riappropriarvi della “luce” piena di speranza per non perdere l’amore, la pace, la fede. E vorrei ricordarvi che la fede non è soprattutto o soltanto credere in alcune verità. La fede è un’esperienza di innamoramento, di quell’innamoramento che toglie il respiro e fa battere il cuore a velocità pazzesca perché, come in ogni innamoramento, ci si fida talmente dell’altro che si è disposti a fare ciò che mai avremmo fatto se non avessimo incontrato la persona di cui siamo innamorati.

Papa Benedetto nella «Deus caritas est» dice: «Al centro dell’esperienza cristiana c’è l’incontro tra la libertà di Dio e quella dell’uomo, che non si annullano a vicenda. La libertà dell’uomo, infatti, viene continuamente educata dall’incontro con Dio… All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva».

Il rischio costante è quello di costruire la fede intorno a verità e speculazioni teologiche senza aver mai incontrato colui che solo può illuminare e giustificare tutte le verità e le speculazioni. Credere è consegnarsi, fidarsi di una Persona, l’unica che può dare risposte alle nostre domande e offrire una direzione alla nostra storia che è storia della salvezza perché piena e in sintonia con il Salvatore.

Una fede che va costruita ogni giorno, continuamente, evitando il rischio della ripetitività, della noia, della sonnolenza, della ritualità fine a se stessa…

Apriamo le porte a quel Dio che abbiamo celebrato nei giorni scorsi. «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).

Seguiamo il consiglio di un altro Papa, Giovanni Paolo II:

«NON ABBIATE PAURA DI SPALANCARE LE PORTE A CRISTO».

Sarà un bell’anno!!!

Ancora più bello se guardiamo avanti e già ci prepariamo a festeggiare, a fine mese, il nostro don Bosco, il grande sognatore che ha riempito e continua a riempire i giovani di sogni, lui che è il Padre, il Maestro e l’Amico dei giovani!

don Giuliano