“È RISORTO!”: Don Giuliano presenta il suo nuovo libro
Martedì 14 giugno alle ore 20.45 presso il teatro del Collegio Don Bosco si svolgerà la presentazione del libro “È risorto”, scritto da Don Giuliano Palizzi, direttore dell’Istituto.
La locandina: PRESENTAZIONE LIBRO
Da dove nasce l’dea di realizzare l’opera?
Dal 2012 la rivista Maria Ausiliatrice, legata all’omonimo santuario di Torino fondato da don Bosco, sta ospitando alcuni articoli di don Giuliano Palizzi che vengono pubblicati nella rubrica Giovani. Il direttore della rivista aveva richiesto “pezzi” provocatori per rinnovare il giornale non solo graficamente, ma anche nei suoi contenuti. Così i contributi si sono succeduti nella scansione bimestrale in maniera “aggressiva” in modo da obbligare il lettore a interrogarsi a mo’ di esame di coscienza e a spronarsi a vivere il Vangelo oggi, sotto la guida di papa Francesco nella nuova Chiesa verso la quale ci sta traghettando.
Di cosa si tratta nel libro?
Alcune convinzioni guidano le idee presentate nel libro di don Giuliano. In questo nostro mondo che viaggia a una velocità mai vissuta nella storia dell’umanità non è possibile, dal punto di vista religioso, ripetere quanto imparato al catechismo e ripresentare un culto con segni e linguaggi che non parlano all’intelligenza ma soprattutto al cuore dell’uomo contemporaneo. Non si può parlare di un Dio generico, astratto, senza volto, molto simile a quel Dio che noi vogliamo che sia e quindi maschilista e severo. Che reazioni di sorpresa quando si parla di qualità femminili in Dio! Quando si parla di un Dio-mamma, di un Dio-tenerezza, di un Dio che non si stanca mai di perdonare! Eppure è scritto da sempre che «vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione» (Lc 15, 7). Ma già il profeta Isaia (49, 15) aveva detto: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai». Stiamo constatando da qualche anno che non rimettendosi in discussione per andare incontro all’uomo, al suo linguaggio cambiato (pensiamo ai nativi digitali), avremo una Chiesa di nostalgici, una Chiesa dove prevalgono i fantasmi del passato, una Chiesa fatta di chiese vuote, trasformate in musei, una Chiesa fatta di partecipanti senza vita, fossilizzati in gesti tristi e a volte ridicoli. Una formazione religiosa fatta di luoghi comuni non è più sufficiente per animare la nostra fede nella cultura attuale, che, giustamente, pretende sempre più intelligibilità. Non possiamo negare che la nostra lettura di Dio, di Gesù, dei santi, della Chiesa, è pasticciata. Non è questione di voler dare addosso alla tradizione del passato, ma piuttosto di liberarla da certe escrescenze, incrostazioni e sovrastrutture (pars destruens) e specialmente (pars costruens) di scoprire e inventare ciò che essa può significare, una volta ricentrata e rifondata nel nostro mondo culturale in modo da vivere l’oggi di Dio senza dimenticare quanto Dio ha fatto per noi nella storia dell’umanità. Tanti cristiani si arrampicano su ciò che è stato loro insegnato anche se constatano che Gesù ha detto cose un po’ diverse oppure ci si ferma sui dettagli perdendo di vista l’essenziale, oppure fossilizzandosi nel si-è-sempre-fatto-così. «Meglio essere nell’errore con Cristo che nella verità senza Cristo» diceva lo scrittore e filosofo russo Fedor Dostoevskij. Prendiamo atto che molte volte difendiamo posizioni e tradizioni che sono senza Cristo. Ci siamo inventati una valle piena di lacrime nella quale fare sacrifici per guadagnarci la possibilità di ricuperare quella metà da cui ci siamo staccati un giorno, protesi alla ricerca di un Dio che non si sa dove sia (visione filosofica). E abbiamo ignorato che non siamo noi che cerchiamo Dio ma è Lui che cerca noi, incarnandosi, facendosi uomo, vivendo come noi, passeggiando per le nostre strade, amandoci fino a dare la vita per noi come si fa per gli amici (visione biblica). Ci siamo persino inventati un limbo per i bambini non battezzati perché avevamo l’idea di un Dio povero di fantasia che non riusciva a trovare un posto per questi bambini e allora lo abbiamo tolto d’impaccio trovandogli un non ben identificato limbo. Ci siamo inventati la tristezza, la noia, a volte la depressione, anziché cantare la vita con questo Dio «mangione e beone», con un Dio che ci regala il vino buono, con un Dio che è per la vita e vuole che tutti l’abbiano in abbondanza e siano in eterno felici con Lui. Ecc. Ecc. Avere il coraggio di non assolutizzare le proprie idee è il primo passo per cominciare a scoprire ciò che Dio vuole dirci quest’oggi. «Convertiti e credi al Vangelo» ci dicono al Mercoledì delle ceneri ponendoci la cenere sopra la testa, là dove c’è il nemico più grande della nostra fede: i nostri pensieri, che possono produrre solo cenere se non sono quelli di Dio. «Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la Terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri»: così Isaia (55, 8-9). E Gesù a Pietro (Mc 8, 33) dice: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Ritornare a Gesù Cristo, all’ascolto della Parola per comprendere che a noi, purtroppo molto spesso, è stato consegnato Gesù Cristo ma non il Dio di Gesù Cristo. Siamo andati dietro a un Dio onnipotente, essere perfettissimo, giudice severo. Nella Parola, invece, troviamo un Dio debole, che nasce in una grotta, che vive poverissimo, che muore come sappiamo. Un Dio che è onnipotente solo nell’amore e perfettissimo nella misericordia, per nulla al mondo giudice severo, pronto a tutto pur di salvare «uno». Basta rileggersi in Lc 15 le parabole della misericordia e in Gv 8 il perdono all’adultera, e fermarci ai piedi della croce per sentir promettere il Paradiso al ladrone. Quanto di questo Dio è presente nella nostra fede e ispira le nostre giornate, facendoci costruire una Chiesa sempre attenta all’uomo, al povero, una Chiesa “in uscita”, che crea comunità piene di gioia perché piene di Dio?
Ecco allora le quattro parole intorno alle quali si sviluppano queste pagine:
1 – FEDE La nostra fede s’identifica con le pratiche religiose o è frutto di un incontro con Qualcuno che ci segna la via, la verità e la vita?
2 – DIO Il nostro Dio è proprio quello di Gesù Cristo o quello di Aristotele o della cultura e del teologo di turno?
3 – CHIESA La Chiesa che costruiamo è la casa dove celebriamo la vita insieme al nostro Dio come alle nozze di Cana?
4 – GIOIA Se la gioia è la caratteristica del cristiano perché diamo l’impressione di essere gente da funerale piuttosto che da risurrezione e continuiamo a seguire messaggi che parlano sempre di penitenza anziché di amore di Dio e del prossimo e a partecipare a celebrazioni tutt’altro che entusiasmanti?
A ogni articolo segue una domanda di Mario Metti, presidente dell’associazione Mamre e responsabile della casa di accoglienza per donne in difficoltà Piccolo Bartolomeo, che ha consentito a don Palizzi di approfondire la riflessione con qualche altra sottolineatura, associazione a cui è destinato il ricavato della serata di presentazione.
L’ultimo contributo è un invito a prendere in considerazione l’affermazione che un educatore alla fede non può non essere multitasking, visti i soggetti con i quali deve cercare di realizzare un collegamento non via Whatsapp con gli amici ma via ascolto-preghiera-discernimento con Dio, il vero amico!!!
Una lettura intelligente, curiosa, priva di pregiudizi, potrebbe risultare utile e gradita. Ce lo auguriamo. E ci scusiamo per eventuali ripetizioni, soprattutto nelle citazioni bibliche, dal momento che gli articoli si sono succeduti nell’arco di ben cinque anni