“…E quindi uscimmo a riveder le stelle” (Dante, Inf. XXXIV)
Van Gogh, le stelle, le domande dell’uomo di ogni tempo. Quando la conoscenza diventa apprendimento. Esperienze di didattica interdisciplinare alla Scuola Media.
L’anno scolastico sta per giungere al termine, anche se, tra ultime interrogazioni, tesine di terza media da correggere, corse per preparare al meglio i ragazzi per le prove, la strada sembra ancora lontana.
Nei pochi istanti liberi che un insegnante può trovare in questa fase assai frenetica dell’anno, mi sono trovata a riflettere su quali siano stati i progetti, le attività, ovvero le esperienze vincenti dei quasi nove mesi trascorsi e, riguardando i lavori dei miei ragazzi di terza, posso dire con certezza che uno dei percorsi che mi ha più affascinato quest’anno è stato il lavoro interdisciplinare svolto con la collega di arte, la professoressa Emanuela Negri. Punto di partenza: il grande “argomentone” interdisciplinare, il tema dell’anno giubilare “Misericordiosi come il Padre”, che la scuola ci ha proposto di sviluppare attraverso le diverse discipline coordinate dall’ora settimanale di Formazione. Uno dei pezzi del grande puzzle con lo scopo di formare i ragazzi delle tre fasce d’età su che valore abbia la Misericordia della propria vita portava come titolo “La nostalgia del cielo”, ovvero l’interrogarsi dell’uomo davanti alla vita, la ricerca di risposte di fronte alle sconfitte ma anche alle meraviglie del creato, il bisogno di scoprire il senso di ogni aspetto della realtà, quel significato a cui Dio ha dato un volto.
L’insegnante di arte, in terza media, ha proposto di trattare alcune opere di Van Gogh che rappresentassero il cielo, dalla “Terrazza del Caffè della Sera ad Arles”, alle celebri “Notti stellate”, fino alla drammatica “Campo di grano con volo di corvi”. Io, invece, nelle ore di lettere, ho pensato di leggere alcune poesie di autori della letteratura italiana che dalla contemplazione del cielo stellato hanno trovato l’ispirazione per porsi domande di significato sulla propria esistenza e su quella di tutto il creato, da Leopardi a Pavese.
Leggendo le idee della collega, mi è venuto subito il guizzo di “attaccarmi” al suo percorso didattico trattando alcune delle lettere di Van Gogh al fratello Theo, in cui emerge come la grande sensibilità espressa nei suoi dipinti scaturisca da un cuore tormentato sempre alla ricerca di una felicità che sembra sfuggirgli, eppure mai pago di accontentarsi di una misera vita e di smettere di cercare.
Selezionare tra le centinaia di lettere quelle più significative non è stato semplice e non sono certa che la mia cernita sia la migliore, eppure i temi che i ragazzi hanno scritto sullo stesso argomento trattato con angolature diverse in due differenti discipline sono stati sorprendenti. Eccone alcuni stralci:
Nella poesia dello “Steddazzu”, l’ultima stella prima del sorgere del Sole emette un senso di solitudine e monotonia, infatti l’autore dice che ormai non ha senso svegliarsi al mattino perché le giornate sono tutte uguali. Perfino la pipa pende fra i denti. Il poeta ha chiuso le porte alla speranza di una vita piena di gioia e desideri. Non c’è traccia di malinconia perché molto probabilmente non si è mai aspettato niente da essa quindi non può rimpiangere i tempi felici.
Questo senso di monotonia viene spazzato via da “L’infinito” di Leopardi che dice che dentro a ogni uomo si nasconde un desiderio infinito che non potrà mai essere colmato. L’uomo, essere limitato ma che desidera l’infinito, l’irraggiungibile, la libertà.
Van Gogh, invece, è un mix di emozioni. Per me le emozioni mandano in TILT il cervello; se Van Gogh non avesse avuto questa voglia immensa di felicità, non si sarebbe sparato e, di conseguenza, non sarebbe morto; avrebbe dovuto accontentarsi di quello che la vita aveva da offrirgli.
I miei compagni hanno detto che è depresso, io invece penso sia un uomo molto forte ma allo stesso tempo fragile; se la madre gli avesse dato affetto non sarebbe finito in un manicomio e avrebbe saputo relazionarsi meglio con le persone perché noi siamo il risultato di come veniamo trattati.
Vincent all’inizio voleva veramente la felicità e lo si intuiva anche dai colori che usava nei suoi primi quadri, poi ha capito che nel mondo non c’era spazio per lui e che la gente non lo apprezzava e quindi si è suicidato.
Io capisco Van Gogh: voleva talmente tanto una cosa che alla fine è morto per essa. Non ha badato a quante volte ha battuto la testa e a quante delusioni ha ricevuto: lui voleva la felicità e anche io voglio la mia.
Per me Van Gogh è un esempio di come una persona si impegna con tutta se stessa per raggiungere il suo sogno e poi gli altri con le loro critiche riescono a distruggere tutto.
Bisognerebbe vivere come quando si è al mare e la sabbia scotta ma non ti importa perché tra pochi metri sarai in acqua e non sentirai più la sabbia che scotta; ecco si, bisognerebbe vivere così.
Marta
Per iniziare il testo, mi sembra giusto ricordare che l’uomo è nato per esprimere i propri pensieri e le proprie opinioni liberamente, come hanno fatto i poeti e come ho intenzione di fare anche io.
Giacomo Leopardi, per esempio, anche se può sembrare un uomo con opinioni particolari, perennemente inseguito dall’infelicità e con una bassa opinione della natura come <<matrigna>> degli uomini; spiegandoci che lui inizia ad immaginare cosa potrebbe vedere, nonostante una siepe gli impedisca la visuale, il poeta vuole dirci che il cuore e la mente, il temperamento di ognuno ed i suoi sogni e desideri sono troppo potenti per essere ostacolati dagli impedimenti umani.
Come in ogni ambito della vita, però, c’è chi non è in disaccordo. Cesare Pavese risponde a questa definizione, poichè secondo lui la vita è solo un’infinita noia, una routine in cui oggi è uguale a ieri e che non ti regalerà mai nulla. La rassegnazione del vecchio in riva al mare ne <<Lo Steddazzu>> evidenzia che, per chi non si aspetta più nulla dall’esistenza, l’ideale sarebbe addormentarsi, o addirittura morire.
Il supremo amante della vita è però Vincent Van Gogh, che, con la sua continua ricerca della felicità, esprime tutta la sua voglia di vivere. Con <<La Notte Stellata>>, il pittore esterna tutte le emozioni che il suo cuore può provare. Dalle sue lettere emerge che Van Gogh considerava le stelle quasi come amiche, come confidenti, e in questo quadro la sua opinione risalta chiaramente perché le stelle sono tante, sono grandi e sono di un giallo splendente, a sottolineare la sua instancabile caccia alla vera felicità.
Il cielo però, che forma con le stelle il nostro famoso “infinito”, non è completamente sereno, perché è animato dal soffio del vento, e questo, almeno per me, trasmette l’inquietudine e il malessere che a volte affliggevano Van Gogh.
In conclusione, dopo aver analizzato i vari punti di vista, secondo me la vita dev’essere una continua ricerca. Nonostante gli obiettivi intermedi portino soddisfazioni, il nostro compito è andare avanti ed inseguire la meta finale, che per me e per Van Gogh è la felicità.
Perciò, ringraziando Jim Morrison che amichevolmente ci ha dato questa frase, <<Non accontentiamoci dell’orizzonte, cerchiamo l’infinito>>.
Francesca
Nella storia si sono susseguiti artisti, scrittori, pittori, che volevano spiegare l’esistenza delle stelle, o affascinarci, o soltanto parlare di loro.
Questi piccoli faretti nello spazio, che per alcuni sono spettacolari e misteriosi corpi celesti, per altri sono solo piccoli sputi.
Tutt’oggi ci sono cantanti che citano le stelle nei loro brani (One Republic, “Counting Stars”).
Ma facciamo un salto indietro: Giacomo Leopardi ha scritto “L’Infinito”, un testo famosissimo.
É seduto su un colle e sta mirando una grossa siepe che gli ostruisce la vista sull’orizzonte.
Così si immagina cosa ci sia oltre. Ed è questo che mi affascina.
Un’altra opera di Leopardi è “Alla Luna”. Egli dialoga con la Luna, la tratta come una confidente. Ma è solo un corpo celeste, senza vita, a distanza di milioni di kilometri.
Eppure riesce ad averci un contatto. Si confida con lei quasi in modo naturale.
C’era qualcuno che diceva “Fratello Sole, sorella Luna”.
Alla fine Leopardi ha scritto questo: un dialogo con la lontana sorella.
Invece Van Gogh dialoga tutta la vita con il lontano fratello Theo tramite lettere: ne scriverà 668.
É un pittore, alla disperata ricerca della felicità, che vuol descrivere nelle sue opere; delle quali ne vende una sola.
Osservando le sue opere in ordine cronologico, contengono, col passare del tempo, sempre più colori cupi, fino a quando si arriva alla sua ultima opera, il “Campo di grano con corvi”. Dipinge il quadro prima di suicidarsi con un revolver. Il cielo è molto cupo, dipinto con pennellate decise; sta per arrivare un temporale. Nel campo ci sono tre strade, che simboleggiano l’indecisione. I corvi sono presagio di morte. Il giallo del campo è la ricerca della felicità; che purtroppo Vincent non troverà mai.
Il pittore non ha solo rappresentato scene terribili, ma anche opere stupende e famose, come la “Notte stellata”. In questo quadro è raffigurata una città di notte, con un cielo blu ed un albero, che rappresenta il legame tra cielo e terra. Si è scoperto che le stelle nel cielo non sono messe a caso, ma sono veramente dove Van Gogh le ha dipinte. Il cielo è dipinto con dei tratti circolari, che vengono utilizzati spesso nelle sue tele.
Quello che mi ha stupito di più di quest’uomo non sono tanto le sue opere, ma la sua storia. Alla fine, chiunque può dipingere un quadro, può studiare per farlo bene, metterci impegno e voglia, ma se non hai niente a raccontare, nel quadro non c’è quel qualcosa di bello, di infinito.
Alessandro
Credo che la conclusione di quest’ultimo stralcio di tema possa chiosare in modo chiaro il risultato del nostro percorso: la bellezza e la verità che i ragazzi hanno potuto sperimentare raccontavano già di sé nei quadri e nelle poesie, a noi insegnanti il piacevole compito di veicolarle agli studenti e farle diventare esperienza e quindi bagaglio per la vita.