Di Davide De Amicis
Fare, felicità e futuro – individua il Rapporto Giovani 2016 – sono le tre F da rimettere insieme e sulle quali puntare…
«Essere felici nella fase giovanile, risulta sempre meno una condizione dell’essere spensierati e sempre più legata al fare, alla possibilità di mettersi alla prova con successo in un contesto che incoraggia a essere attivi nel migliorare il proprio futuro».
Lo ha affermato Alessandro Rosina, tra i curatori del Rapporto Giovani 2016 realizzato dall’Istituto Toniolo di Milano, con il sostegno di Intesa Sanpaolo e di Fondazione Cariplo, presentato all’Università Cattolica di Milano.
Lo studio, a partire dall’autunno 2015, è stato condotto su di un campione di 9 mila giovani italiani dai 18 ai 32 anni d’età: «Fare, felicità e futuro – individua il rapporto – sono le tre F da rimettere insieme e sulle quali puntano i giovani italiani, almeno nei prossimi anni. Un obiettivo importante che deve fare i conti, però, con il fatto che siamo uno dei Paesi che meno sono riusciti, finora, a costruire basi solide per un futuro da protagonisti dei giovani per la crescita nazionale».
Del resto i dati parlano chiaro: «Tutte le tappe di transizione allo stato adulto – sottolinea lo studio -, dall’autonomia dai genitori fino alla formazione di una propria famiglia e alla nascita del primo figlio, sono più dilatate nel tempo per i giovani italiani rispetto ai coetanei europei. L’età mediana di uscita dalla famiglia di origine è attorno ai 30 anni nel nostro Paese, mentre è inferiore ai 25 nei Paesi scandinavi, in Francia, Germania e Regno Unito».
In Italia, inoltre, meno del 12% dei giovani vive in una unione di coppia tra i 16 e i 29 anni, un valore che è la metà rispetto alla media europea (elaborazioni su dati Eurostat): «Di conseguenza – denota il Rapporto Giovani – siamo diventati, assieme alla Spagna, il Paese con più bassa fecondità realizzata prima dei 30 anni».
Infatti, sempre secondo i dati, il numero di figli idealmente desiderato supera mediamente i due, ma nel tempo si è ridotto sensibilmente il numero di figli che concretamente si pensa di realizzare: «Tale valore– si legge ancora sul Rapporto – scende poco sopra 1,5 figli, un dato che comunque è vicino alla media europea e sensibilmente superiore al valore di 1,35 effettivamente osservato in Italia nel 2015».
Sull’intenzione di avere un figlio nei prossimi tre anni le analisi condotte nel Rapporto, tra l’altro, confermano l’importanza della condizione occupazionale: «Non avere un lavoro risulta – precisa l’elaborato -, al netto di altri fattori, negativamente legato alla progettazione dell’arrivo di un figlio».
Un risultato, quest’ultimo, che assume particolare rilievo nelle regioni meridionali, caratterizzate da maggiori intenzioni di avere un figlio, ma da minore possibilità di realizzare i desideri di fecondità: «Nel frattempo – rilevano i ricercatori -, si accentua il modello italiano di dipendenza economica e di protagonismo della famiglia sul percorso di transizione all’età adulta dei giovani, con il rischio di ritardare l’assunzione di un ruolo di piena cittadinanza, responsabile, attiva e consapevole dei giovani italiani».
I temi chiave del Rapporto Giovani 2016 condotto sui “millenials” (la generazione del nuovo millennio nata tra i primi anni ’80 e i primi anni 2000), sono stati lavoro, felicità, istituzioni, Europa e figure di riferimento: «Il quadro che emerge dalle analisi raccolte – ribadiscono i ricercatori – riflette questa lettura di condizioni oggettive penalizzanti, frutto di quanto sinora non ha funzionato, da un lato, e voglia di esserci, di fare esperienze positive, di cogliere opportunità che dimostrino che un futuro diverso è possibile, dall’altro. La combinazione di questi due elementi opposti emerge dalla forte critica e disillusione rispetto alla condizione attuale di un Paese, che offre molto meno di quanto i giovani pensano di poter dare, in contrapposizione con la grande voglia di dimostrare quanto davvero valgono».
Non a caso, dalla ricerca emerge che mentre in Italia 3 intervistati su 4 ritengono che nel proprio Paese le opportunità offerte siano inferiori rispetto alla media degli altri Paesi sviluppati, si scende a meno di 2 su 3 in Spagna, a meno di 1 su 5 in Francia e Gran Bretagna,e meno di 1 su 10 in Germania: «Di conseguenza – precisa il Rapporto – l’Italia è anche uno dei Paesi in cui maggiore è la propensione ad andare all’estero per cogliere migliori opportunità di lavoro».
Comunque, per gli under 30 italiani il volontariato e il servizio civile sono considerate palestre importanti per migliorare, allo stesso tempo, il contesto sociale in cui si vive e arricchire competenze utili per la propria vita sociale e lavorativa. Il piacere e il valore dello stare e del fare con gli altri è confermato anche dalla crescita della sharing economy (la condivisione dei beni), in forte coerenza con le sensibilità delle nuove generazioni e la necessità di acceso a beni e servizi a bassi costi.
La combinazione tra nuove tecnologie, costi accessibili e condivisione di esperienze, inoltre, stanno aprendo opportunità inedite in ogni ambito, dal coworking (la condivisione dell’ambiente di lavoro), alla fruizione culturale, alle modalità di consumo.